Premio speciale della Giuria al 71° Festival di Cannes e candidato all’Oscar come miglior film straniero, “Cafarnao – Caos e miracoli” è arrivato nelle sale italiane ll’11 aprile, distribuito da Lucky Red.
Abbiamo incontrato la regista libanese Nadine Labaki a Roma, dove si trova in visita insieme al compagno Khaled Mouzanar, autore della splendida colonna sonora del film, e ai due figli.
L’infanzia è il punto di partenza del film, e questo rende “Cafarnao” un film di denuncia che supera la situazione di partenza per diventare universale.
“Abbiamo iniziato a girare con una sceneggiatura solida, scritta in tre anni di ricerca. Non avevo il diritto o il titolo di scrivere questa storia basandomi sull’immaginazione, non ho vissuto questa privazione o un’esperienza simile. Ho fatto ricerca nelle aree più povere della città, nei centri di detenzione parlando con moltissimi bambini e in tribunale. Abbiamo girato e riscritto basandoci sulle improvvisazioni dei bambini, attori che avevano vissuto esperienze simili. Lavorare con due bambini non professionisti, uno di appena un anno, mi ha portato a girare molto. La prima versione del film durava dodici ore”.
Zain è un bambino di 12 anni, vive in uno dei quartieri più degradati e poveri di Beirut. Fuggito da casa, trova un po’ d’amore e famiglia grazie alla rifugiata Sahil e nonostante tutto non perde mai la speranza.
“Quello che si vede nel film è la conseguenza del caos sistemico creato dalla guerra. Non l’abbiamo detto in modo palese, ma Zain è una sorta di Messia, rappresenta tutte le voci dei bambini e delle comunità che non si possono esprimere. Alla fine è una sorta di salvatore. Ma non si tratta di qualcosa che abbiamo deciso prima, è venuto tutto in modo naturale”.
Zain, nel film, è interpretato magistralmente da un 12enne siriano, Zain Al Rafeea.
“Il più grande successo del film forse è proprio che adesso Zain vive in Norvegia con la sua famiglia, grazie all’UHNCR. Adesso va a scuola, così come vanno a scuola i suoi fratelli. Ha avuto un nuovo inizio e l’ha avuto anche la sua famiglia. Con il film abbiamo creato una fondazione e un risultato positivo, un successo alla volta. Ci auguriamo che il successo possa portare ad altro”.
Un altro tema importante del film è quello dei matrimoni combinati che coinvolgono bambine anche molto piccole, una piaga che esiste in molti Paesi del mondo.
“Purtroppo questo è un problema di enorme portata, che le cifre ufficiali non descrivono a pieno. I matrimoni che coinvolgono bambine piccole esistono e fanno parte della cultura, ma non sono veri matrimoni, sono transazioni economiche, con dei passaggi di soldi. Non ci sono dati ufficiali e non ce ne saranno mai perché il governo non vuole affrontare le reali dimensioni del problema”.
Nel film Zain decide di farsi passare per siriano, per ottenere degli aiuti. Un ritratto drammatico del Libano.
“È una questione difficile e non spetta a me trovare soluzioni, io ho deciso solo di mettere in luce il problema. Il Libano ha ospitato milioni di rifugiati, è un Paese con molti problemi economici, dove esiste un sistema iniquo e ingiusto nei confronti di alcune categorie di persone. Come regista ho avvertito la responsabilità di dare un volto al dramma, senza numeri né cifre. Spetta ai governi trovare una soluzione”.
Zain ricorda il piccolo Edmund di “Germania, Anno Zero”, ma la sua ribellione lo fa assomigliare anche ad Antoine Doinel, l’alter ego di François Truffaut. A quale modello si è ispirata la regista?
“Difficile dirlo. Questo è un film molto istintivo, che doveva essere raccontato in questa maniera. Ho deciso di girarlo con attori non professionisti realizzando riprese semplici, mi sono adattata al loro modo di recitare. Citare il neorealismo e Truffaut vuol dire che ho colto nel segno, ma non ci pensavo mentre giravo. La storia si è imposta sulla tecnica”.
“Cafarnao” segna un cambiamento netto rispetto alla cinematografia della regista fino a questo momento, che comprende soprattutto commedie. Scelta meditata?
“Quando mi viene un’idea per un film i temi diventano per me un’ossessione. Non vado mai alla ricerca di spunti, sono le idee che arrivano e mi girano nella testa aspettando che le realizzi. Come artista penso che il mio compito sia di dare voce alle persone che non ce l’hanno. In quest’ottica il cinema e i film possono diventare un’arma potente”.