“C’è tempo”: una fiaba delicata e tenera ma non troppo riuscita

Walter Veltroni, alla prima pellicola di finzione, esagera con i riferimenti cinematografici e le citazioni

Un film di Walter Veltroni. Con Stefano Fresi, Giovanni Fuoco, Simona Molinari, Francesca Zezza, Jean-Pierre Léaud. Drammatico. Italia 2019

Stefano, quarantenne precario e irrisolto, di lavoro fa l’osservatore di arcobaleni. Lui, che di suo padre non ha mai voluto sapere neanche il nome, deve lasciare il paesino del Piemonte in cui vive per correre a Roma. Improvvisamente si è ritrovato orfano e con un fratellastro tredicenne di cui non conosceva l’esistenza, Giovanni, rimasto solo al mondo. Accettandone la tutela, Stefano potrà beneficiare di un lascito a suo favore. Lui è dubbioso ma sua moglie ha un piano: prendere i soldi e lasciare il ragazzino in un collegio. Inizia così un viaggio attraverso un’Italia dimenticata dalle autostrade che, grazie all’incontro con la cantante Simona in tour con sua figlia, farà capire a entrambi che essere fratelli può essere una scoperta sorprendente, come un meraviglioso arcobaleno a due volte sovrapposte.

 

Dopo quattro documentari e tre serie tv sempre incentrate sul reale, Walter Veltroni, con “C’è tempo”, si cimenta nella regia di una pellicola di finzione, storia on the road di due fratelli molto diversi.

Il quarantenne Stefano (Fresi) osserva gli arcobaleni per mestiere e vive in un paesino di montagna. Il tredicenne Giovanni (Fuoco), il suo fratellastro sconosciuto, si ritrova solo al mondo dopo l’improvvisa morte del padre. Stefano decide di accettarne la tutela per poter beneficiare di un lascito a suo favore, e poi lasciare il ragazzino in collegio.

Classico esempio di pellicola on the road in cui il viaggio diviene motivo di cambiamento e di crescita, “C’è tempo” ha un’impianto quasi favolistico, dove trionfano soprattutto i buoni sentimenti.

Veltroni, da grande cinefilo, infarcisce il suo film di citazioni cinematografiche, da quelle più evidenti come “I 400 colpi” e “Novecento” di Bertolucci a quelle più velate, come la padella che rimanda a “La grande guerra” o il nome della notaia di “Miracolo a Milano”.

Questa sovrabbondanza di modelli, però, finisce per gravare come un macigno sull’impianto narrativo del film, che risulta esagerato, a tratti stucchevole, molto lontano da ciò che definiamo verosimile. Il problema, qui, è che è’è troppo di tutto: troppe citazioni, troppa caratterizzazione del giovane co-protagonista, troppa pesantezza nelle immagini.

Storia in cui tutti i personaggi hanno la possibilità di migliorarsi e di accettarsi grazie all’incontro con l’altro (emblematica, a questo proposito, la figura dell’arcobaleno che simboleggia l’incontro e la coesistenza di diversi colori), “C’è tempo” è una fiaba delicata e tenera ma non particolarmente riuscita.