“Brado”: un western esistenziale, che prova a spiegare il senso della vita

Il terzo film da regista di Kim Rossi Stuart ha grandi ambizioni ma diversi problemi e pecche

Un film di Kim Rossi Stuart. Con Saul Nanni, Kim Rossi Stuart, Viola Sofia Betti, Federica Pocaterra, Alma Noce. Drammatico, 117′. Italia 2022

Da tempo Tommaso non vede suo padre Renato, che vive in un ranch isolato da tutti. In quel ranch Tommaso è cresciuto insieme alla sorella Viola, ma da giovani adulti se ne sono allontanati, mentre il padre è rimasto lì a gestire una rustica scuola di equitazione, sempre più scorbutico e avulso dalla civiltà. La madre di Tommaso ha da tempo lasciato alle spalle la famiglia per circondarsi di fidanzati improbabili, e Renato ha cresciuto i due figli con l’intento di farli diventare “più forti di lui”. Ora Tommaso viene richiamato al ranch per aiutare il padre a domare un “cavallo matto” che Renato considera il suo veicolo di riscatto. Ma per il figlio quel cavallo è solo un’altra delle scommesse perse in partenza da quel genitore burbero e dispotico.

 

Dopo l’esordio nel 2006 con “Anche libero va bene” e il brutto e scombinato “Tommaso”, presentato nel 2016 alla Mostra di Venezia Venezia, Kim Rossi Stuart torna per la terza volta dietro la macchina da presa, compiendo, per fortuna, un passo in avanti nella sua carriera da regista.

In “Brado” il genere western diventa veicolo per raccontare il turbolento e complesso rapporto tra un padre e un figlio. L’idea è interessante, e quanto meno nella prima parte del film c’è un certo equilibrio.

Kim Rossi Stuart interpreta Renato, un uomo arrabbiato, sgradevole, ferito dall’abbandono della moglie Stefania, che ha riversato tutte le proprie energie nel ranch lontano da tutti dove si è ritirato. Anche i figli Tommaso e Viola si sono lasciati quel capitolo alle spalle, una volta cresciuti. Ma lui no.

Renato è un personaggio sprezzante, duro, autoritario, che per alcuni versi ricorda il Daniel Day Lewis del “Petroliere”. Un ruolo inedito per l’attore romano, che lo ha fatto suo riuscendo a risultare sempre credibile e carismatico, anche nei momenti più tesi della storia.

La prima parte di “Brado”si nutre delle tensioni, della rabbia e delle incomprensioni tra Renato e il figlio Tommaso, costretto a tornare al ranch per aiutare l’uomo con l’addestramento di un cavallo particolarmente difficile.

Se il film funziona come “western sporco”, una sorta di rivisitazione nostrana de “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, sbanda e non poco nel proseguo, dove il focus si sposta su Tommaso (un Saul Nanni volenteroso ma che al momento non ha la forza di Kim Rossi Stuart per reggere un film da solo), sulle sue incertezze sentimentali ed esistenziali.

Sulla lunga distanza “Brado” paga l’incertezza narrativa, la dispersione di genere, l’ambizione del regista di abbracciare più tematiche pagando dazio al buonismo e a una catarsi forzata dei protagonisti. Un western sulla carta, che in realtà parla di rapporti familiari e del senso della vita. E tenere a bada simili tematiche è più complicato che domare un cavallo selvaggio.