“Black tide”: un thriller intrigante dove Vincent Cassel dà il meglio di sé

Toni freddi, colori scuri, quasi totale assenza di musiche per un noir dove niente è come sembra

Un film di Erick Zonca. Con Vincent Cassel, Romain Duris, Sandrine Kiberlain, Élodie Bouchez, Charles Berling. Thriller, 113′. Francia, Belgio 2018

Un adolescente sparisce e François Visconti è incaricato di indagare. Comandante di polizia con figlio (ingovernabile) a carico e il vizio (incontrollabile) del bere, Visconti sospetta di Yan Bellaile, un vicino di casa del ragazzo, e si invaghisce della madre del ragazzo. Tra una bottiglia di whisky e le intemperanze del figlio, coinvolto in un traffico di droga, seduce la donna e scopre che la vittima era allievo di Bellaile. Dietro la barba e dentro la cantina, l’enigmatico professore, troppo sospetto per essere colpevole, nasconde un segreto e probabilmente non è un cadavere.

 

Terzo lungometraggio del regista Erick Zonca, “Black Tide” è l’adattamento del libro “The missing file” di Dror Mishani. Il titolo – che significa letteralmente ‘marea nera’ – basta a rendere il senso di cupezza e precarietà che aleggia sin dalla prima scena sui personaggi della storia.

Vincent Cassel è un eccezionale detective tormentato, inizialmente un antieroe che riesce a ritrovare se stesso messo davanti a uno scontro contro il Male. Il suo Francois si rifugia nell’alcool e pur non riuscendo a occuparsi delle sue questioni private cerca di risolvere quelle altrui. Costruita maldestramente, la compensazione inconscia della sua incapacità di essere un buon genitore è il motivo che lo spinge a prendere così a cuore il caso.

Così Francois si avvicina a Solange, madre di Dany, e instaura con lei un instabile rapporto fatto di disperazione e passione. E intreccia le sue ricerche con il professore di Dany, inizialmente in un rapporto di ossessiva e strana collaborazione, poi in un’evitabile resa dei conti e di risoluzione del caso. Ma non tutto è come sembra, anche se molte cose le vediamo arrivare da lontano.

La sensazione che lascia “Black tide” è di inquietudine, quasi come se avvertissimo una minaccia incombere sulle nostre spalle, mentre i toni freddi, i colori scuri  s’impossessano della fotografia.

La quasi totale assenza di musiche, i primi piani girati con camera a spalla, inquieti, instabili, tutto concorre a costruire una cornice noir molto scolastica ma ben calibrata.

Il cast regala una performance molto convincente. Lo spettatore può provare empatia e persino addentrarsi con loro nella rete di ricerche, segreti e nel fitto mistero che avvolge la scomparsa di Dany. Ancora una volta, è bene avvisare, niente è come sembra e l’intrigo si ingarbuglia in un’evitabile matassa di deposizioni, confessioni e bugie.