di Valeria Lotti
Dimentichiamoci per un attimo dei cast stellari e dei film più attesi della Berlinale, per concentrarci su quelle produzioni in un certo senso alternative, che costituiscono una delle cifre caratteristiche del festival.
Vogliamo presentarvene tre, a nostro avviso meritevoli, due in concorso e una inserita nella sezione Forum: “Félicité” di Alain Gomis, con Véro Tshanda Beya, Gaetan Claudia, Papi Mpaka; “Testről és lélekről” (On Body and Soul) di Ildikó Enyedi, con Alexandra Borbély, Géza Morcsányi; “At elske Pia” (Loving Pia) di Daniel Borgman, con Pia Skovgaard, Céline Skovgaard, Jens Jensen.
Questi tre film sono diversi per lingua, tematica e realizzazione, ma hanno in comune un elemento: il silenzio. Il ritmo lento, lo sguardo sulla natura e sulla psicologia umana, lo scorrere ripetitivo del tempo, il tutto accentuato da profondi silenzi di riflessione.
Félicité vive a Kinshasa e porta avanti la sua vita di donna orgogliosa cantando nei bar. Un giorno riceve la notizia che il figlio adolescente ha avuto un grave incidente, e comincia così la sua disperata ricerca di soldi per poter pagare l’operazione.
Il film di Alain Gomis, in concorso, è un triste ritratto della disastrosa sanità congolese, una lotta contro le istituzioni che il popolo (povero) non ha alcuna chance di vincere. Ma nel buio della sofferenza può brillare una debole luce di serenità, un microcosmo familiare che riesce a chiudere tutti i problemi sociali al di fuori. Però ignorarli non li fa andar via.
Come dichiarato dalla regista ungherese Ildikó Enyedi alla première, “Testről és lélekről” (On Body and Soul) celebra la fine di un periodo molto buio e difficile della sua vita.
Si tratta di una impacciata e improbabile storia d’amore tra due individui solitari, a loro modo mutilati – anaffettiva lei, con un braccio paralizzato lui – in un quadro che meno romantico non potrebbe essere: un macello di bovini, dove entrambi lavorano.
Il film sorprende con innumerevoli momenti buffi al limite dell’assurdo, dove si ride dell’incapacità dei protagonisti di agire da persone “normali”. Uno sguardo piuttosto peculiare sulla delicatezza dei sentimenti umani.
E la stessa delicatezza, o forse ancor di più, la ritroviamo nel film “At elske Pia” (Loving Pia), che apre una breve finestra sulla vita di una donna mentalmente disabile.
Pia vive con l’anziana mamma nella campagna danese, si prende cura della sua oca, partecipa alle attività del centro per disabili, e sogna una storia d’amore. L’incontro con un pescatore le farà considerare più da vicino la possibilità di una relazione amorosa: ma esiste davvero questa possibilità?
La tenerezza con cui il regista Daniel Borgman rende partecipi di questa storia è quasi disarmante, tuttavia non elimina la malinconia al pensiero di cosa ne sarà di una donna come Pia nel futuro.