Un film di Kenneth Branagh. Con Caitriona Balfe, Judi Dench, Jamie Dornan, Ciarán Hinds, Colin Morgan, Lara McDonnell. Drammatico. Gran Bretagna 2021
Belfast, 1969. Buddy vive con la mamma e il fratello maggiore in un quartiere misto, abitato da protestanti e da cattolici. Sono vicini di casa, amici, compagni di scuola, ma c’è chi li vorrebbe nemici giurati e getta letteralmente benzina sul fuoco, aizzando il conflitto religioso, distruggendo le finestre delle case e la pace della comunità. La famiglia di Buddy, protestante, si tiene fuori dai guai, non cede alle lusinghe dei violenti e attende con ansia il ritorno quindicinale del padre da Londra, dove lavora come carpentiere. Emigrare è una tentazione, ma come lasciare l’amata Belfast, i nonni coi loro preziosi consigli di vita e d’amore, la bionda Catherine del primo banco?
Irlanda del Nord, 1969. Pa (Dornan), Ma (Balfe), Will e Buddy sono una famiglia unita, anche se lui lavora in Inghilterra come carpentiere e torna a casa, a Belfast, solo ogni quindici giorni. Intanto la “questione religiosa” tra cattolici e protestanti, che convivono fianco a fianco da anni, inizia a montare.
“Belfast”, film che prende spunto dai ricordi di Kenneth Branagh, è un omaggio sentito e divertito alla città irlandese, un Amarcord portato avanti attraverso lo sguardo di un bambino di nove anni, Buddy, alter ego del regista e sceneggiatore.
Una strada, una casetta sviluppata in altezza e con il bagno all’esterno. Un padre lontano, una madre severa ma dolce, un fratello più grande che si immischia in affari che non conosce. E poi un nonno malato che gli insegna a barare in matematica e una nonna burbera interpretata da Judie Dench. Il mondo di Buddy è tutto qui.
Il bambino sa che se i suoi voti migliorano potrà avanzare di banco e stare vicino a Catherine, che tanto ama. Sa che sua cugina fa parte di un gruppo che ruba merendine. Sa che la sua strada è sicura, almeno finché dei riottosi non la invadono e allora il suo mondo collassa, e la paura si insinua nei suoi occhi e nel suo cuore.
Branagh sceglie il bianco e nero per simboleggiare una distanza temporale ma non affettiva dalla storia. Peccato per lo sviluppo del terzo atto, piuttosto fiacco e con un climax poco convincente. Il cast, comunque, è eccezionale.
Ogni delusione viene sublimata con una vena comica, ironica e ingenua, rimessa alla bocca del piccolo Buddy, i cui occhi tutto osservano e i cui pensieri corrono più in fretta delle sue parole. Con l’accento tipicamente irlandese, la paura dell’Inghilterra e di essere diversi, non amati, soli, Buddy non comprende il mondo che lo circonda e pensa solo a non perdere il sorriso di Caterine.
Tutto sommato “Belfast” è un bel film, un po’ fiacco in certi passaggi-chiave ma comunque estremamente romantico nei confronti di una memoria e di una città, di un passato solo apparentemente lontano. Perché questa storia personale ha elementi decisamente universali, che prescindono dall’ambientazione e dal periodo storico.