“Atlas”: recensione del romanzo di Marco Luné edito da Sperling&Kupfer

Una storia mitologica cruda e ricca di spunti, dove rivivono personaggi indimenticabili

Sono passati alcuni giorni da quando ho finito di leggere Atlas, il romanzo mitologico di Marco Luné edito da Sperling & Kupfer, e devo confessare di non avere ancora un’idea complessiva chiarissima in testa. Ci sono elementi che ho apprezzato, altri che mi hanno fatto storcere la bocca. Ma andiamo con ordine

Ventuno anni dopo la caduta di Troia. Akira sa da sempre di non essere uguale agli altri. Come sua madre prima di lei, è una Marchiata e, se da un lato questo le conferisce poteri straordinari, dall’altro fa sì che tutti la odino e la considerino un mostro.

Dopo che la sua città viene attaccata, la ragazza è costretta a un lungo viaggio per salvare se stessa e chi ama dai nemici. Ma il cammino non è privo di insidie e la porterà ad attraversare le rovine di un mondo antico desolato, pieno di storie oscure e di ombre di eroi epici che narrano un passato non propriamente glorioso.

E allora, sussurrate al vento, ecco rievocate le gesta di Agamennone, la relazione tra Achille e Patroclo, la doppiezza di Odisseo, la saggezza di Tiresia, l’amore sventurato di Ettore e Andromaca, quello tragico di Enea e Didone.

Grazie a questi e molti altri racconti, Akira scopre verità terribili sulla sua famiglia, sulla guerra di Troia e sugli dei, che sono tutto fuorché entità benevole per i mortali. Tanto potenti quanto spietati, gli Olimpi appaiono invincibili, ma Akira, dopo aver conosciuto se stessa, sarà pronta a sfidarli per difendere la sua libertà? 

Mi intrigano molto i romanzi che tentano – senza stravolgimenti, attenzione! – una sorta di riscrittura del mito. A differenza di libri come “Circe” di Madeline Miller o “Il canto di Calliope” di Natalie Haynes, credibili e rispettosi del materiale di partenza ma scritti in modo molto moderno e comprensibile, Marco Luné a mio avviso si è lasciato prendere un po’ troppo la mano, insistendo parecchio sull’elemento ricercato, poetico e “alto”.

Ci sono diversi passaggi, soprattutto nelle prime parti, dove si ha un’oggettiva difficoltà a seguire la storia, tanto questa è scritta in modo difficile. Ma questo stile, più che necessario e funzionale al progetto, sembra un mezzo usato dall’autore per mostrare tutta la propria cultura e le proprie conoscenze, e per tenere il pubblico – meno acculturato? – a distanza. 

Le cose migliorano strada facendo, e al di là di tutto ci si appassiona al viaggio di Akira e al personaggio stesso perché interagisce con “mostri sacri” della mitologia – anche se molto spesso indirettamente, attraverso i ricordi – come Achille ed Ettore, Didone ed Enea, Agamennone, Elettra e Oreste, e lo fa con grande onestà.

Ho apprezzato molto anche la caratterizzazione degli dèi: non solo lontani dagli esseri umani e indifferenti al loro destino ma apertamente crudeli. Su questo versante l’autore non ha avuto timore di osare, stravolgendo per larghi tratti l’immagine mentale che probabilmente conserviamo degli Olimpi dai tempi della scuola e dei cartoni animati come “Pollon”, e a mio avviso ha fatto bene. 

La Grecia classica immaginata da Luné è diversa da quella che ci hanno raccontato tanti libri, film e serie tv, ma ci sono buone probabilità che si avvicini di più a quella “reale”. Una terra selvaggia, abitata da popolazioni per larga parte sanguinarie e vendicative, dove la superstizione era di casa e per i buoni sentimenti non c’era grande spazio. Una terra di mostri, eroi multiformi, drammi e passioni violente.