Un film di Manele Labidi Labbé. Con Golshifteh Farahani, Hichem Yacoubi, Majd Mastoura Mastoura, Ramla Ayari, Aïsha Ben Miled. Titolo originale: Un divan à Tunis. Commedia, 87′. Tunisia, Francia 2019
A 35 anni Selma scopre la nostalgia di casa. Cresciuta in Francia, laureata in psicanalisi, la donna arriva a Tunisi con la fiera determinazione di aprire uno studio in città, sul tetto della casa di famiglia. Sull’onda delle primavere arabe si illude di aver a che fare con un contesto moderno e occidentalizzato. Si accorgerà presto che il paese è in preda al caos, ammalato di pregiudizi e burocrazia.
Anche il cinema, negli ultimi anni, è stato costretto a raccontare e certificare il fallimento delle cosiddette “primavere arabe“, mostrando i molti disastri sociali ed economici a cui sono andati incontri i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.
Non è sfuggita ai contraccolpi della fine traumatica della dittatura neppure la Tunisia. Ed è qui che è ambientato “Arab blues”, esordio nel lungometraggio di Manele Labidi Labbé, presentato in concorso alle Giornate degli autori di Venezia 2019.
Si tratta di un affresco agrodolce della società tunisina, vista e vissuta dalla protagonista Selma che, cresciuta in Francia, decide di tornare nel suo Paese d’origine, per aprire uno studio di psicanalista. Selma è una donna libera e indipendente, che non teme di confrontarsi con i pregiudizi e l’arretratezza culturale del posto.
La regista utilizza con creatività e ironia l’escamotage narrativo della psicanalisi per far stendere sul celebre lettino una serie di bizzarri e istrionici pazienti, che ben incarnano le contraddizioni e i problemi della Tunisia di oggi. La storia è semplice, forse prevedibile, ma comunque godibile e briosa.
L’esordio di Manele Labidi Labbé nel lungometraggio è positivo e la regista dimostra talento, sensibilità e acume nel cogliere le sfumature dell’animo umano e nel metterle poi in scena con garbo, umanità ed efficacia cinematografica.
Golshifteh Farahani sfodera una performance magnetica, malinconica, brillante, caricandosi sulle spalle con personalità il peso dell’intero film, e dimostrando pienamente il proprio valore e bellezza, degne di star di prima grandezza.
“Arab blues” piace e convince anche per il modo con cui affronta l’aspetto romance della vicenda, evitando cadute melense e sentimentali ed esaltando piuttosto la libertà di scelta della protagonista.
Un film consigliato, insomma, per potersi concedere un amaro sorriso sul fallimento delle primavere arabe e magari riflettere sulla possibilità di iniziare un percorso analitico, sperando di avere la coraggiosa Selma come guida.
Il biglietto da acquistare per “Arab blues” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.