di Giulia Montemaggi
Un film di Alex Infascelli. Con Alex Infascelli, Emilio D’Alessandro, Janette Woolmore. Documentario, 75′. Italia, 2015
Alzi la mano chi non ha mai ascoltato i racconti di vita dei propri nonni o di qualche vecchietto alla fermata dell’autobus.
Si inizia parlando del più e del meno, delle mezze stagioni che, ahinoi, si sono estinte come i dinosauri e, quasi per magia, ci si ritrova catapultati in un universo parallelo, fatto di chiavi lasciate nella porta di casa (perché il vicino era persona fidata), di merende genuine e imprese titaniche realizzate grazie al duro lavoro.
Ci si aspetterebbe di sentire un racconto così da Emilio D’Alessandro, tranquillo settantaquattrenne di Cassino, se non fosse che il “nonnetto” in questione è stato, oltre che autista e factotum, amico fraterno per oltre trent’anni del regista Stanley Kubrick.
La sua vicenda ai confini dell’incredibile diventa nota grazie al libro “Stanley Kubrick e me”, che il signor Emilio scrive insieme a Filippo Ulivieri, e arriva anche sul grande schermo, nel documentario-intervista di Alex Infascelli “S is for Stanley”, vincitore del David di Donatello.
Quella di Emilio può sembrare la classica storia dell’emigrato italiano che lascia il nido in cerca di fortuna. Appena maggiorenne parte per Londra, dove trova lavoro e mette su famiglia.
Grazie alla sua abilità al volante diventa pilota automobilistico, collezionando anche alcune presenza in formula Ford. Per arrotondare, lavora per una piccola società di taxi. Le cose vanno bene ed Emilio sembra aver trovato il suo posto nel mondo.
Fino ad una notte nevosa del 1970, quando la sua strada incrocia quella del regista – o meglio, dei suoi strampalati oggetti di scena. Emilio è infatti imbarazzato trasportatore di un enorme fallo di ceramica, destinato al set di “Arancia meccanica”. Da questo a conoscere Stanley – che odia essere chiamato “Mr. Kubrick”- e a diventare suo uomo di fiducia il passo è breve.
La vita di Emilio, prevedibile e tracciata come un circuito automobilistico, assume i tratti di un percorso di rally, costellato di singolari richieste e chiamate nel cuore della notte.
Non importa la natura del compito affidatogli: che si tratti di far riparare una giacca, di curare gli innumerevoli cani e gatti di casa Kubrick o di intercedere per lui con Fellini, quando S. – come si firma nelle lettere inviategli – chiede, Emilio esegue diligentemente.
La pellicola di Alex Infascelli, priva di fronzoli e di virtuosismi registici, traccia, attraverso le narrazioni di Emilio e di sua moglie, un delicato affresco di un’amicizia fuori dal comune e dei suoi interpreti principali: due uomini apparentemente diversi, eppure incredibilmente vicini.
La semplicità e la manualità incontrano la genialità e l’eccentricità, trovando un punto di contatto nell’instancabile dedizione al lavoro e nell’affetto reciproco.
Nel fluire lineare dei racconti di Emilio, intramezzati da aneddoti di bizzarra e meravigliosa quotidianità, si scorge la magia del suo rapporto con il regista, del quale viene mostrato l’aspetto più amorevole e umano. Il Kubrick di Emilio è un uomo estremamente sensibile, fragile e pronto ad aiutare il prossimo nel momento del bisogno.
È proprio questa emotività, neppure troppo nascosta, che conferisce all’opera di Infascelli quel candore necessario a segnare l’animo dello spettatore, fornendogli un filtro speciale nel rapportarsi con i film e la personalità di uno dei grandi del cinema, Stanley Kubrick.