Un film di Matt Brown. Con Dev Patel, Jeremy Irons, Devika Bhise, Toby Jones, Stephen Fry. Drammatico, 108′. 2015
Basato sul libro omonimo di Robert Kanigel.
La matematica per molti è qualcosa di noioso e soprattutto incomprensibile. Quanto tempo abbiamo passato nella vana speranza di comprendere equazioni e formule, e trovando aride le lezioni dei vari professori?
Eppure c’è anche chi ritiene lo studio della matematica fascinoso e appassionante. Un nerd, senza dubbio – penserete voi. Nell’Uomo che vide l’infinito allo spettatore vengono presentate la vita e le scoperte matematiche di Sriinivasa Ramanujan (Patel), un ragazzo indiano di umili origini che attirò l’attenzione di un burbero ed eccentrico professore di Oxford, Hardy (Irons), con le sue idee, nel 1913. Inviato a studiare al Trinity College, a Ramanujan viene poi chiesto di dimostrare la validità scientifica delle sue teorie.
Può la vita di un genio matematico appassionare il grande pubblico? Era una scommessa ardua e difficile da vincere, per il regista Matt Brown. A suo favore ha giocato la straordinarietà del protagonista di questa storia, che dall’India arrivò a sorprendere gli accademici inglesi con la forza delle sue idee e scoperte, dimostrando, per certi versi, che un asiatico non era inferiore agli europei a livello intellettuale.
Il film racconta soprattutto il rapporto tra il matematico e il suo mentore e amico, il professor Hardy, che rappresenta il formalismo accademico e la rigidità della società dell’epoca, destinata presto a crollare sotto i colpi del devastante conflitto mondiale. Hardy, pur riconoscendo il genio di Ramanujan, cerca di imbrigliarlo dentro regole e dimostrazioni, perché ieri come oggi il mondo accademico si dimostra spesso cieco di fronte alla creatività e cerca di far prevalere l’anzianità sul merito.
Una disputa tra istinto e ragione, “L’uomo che vide l’infinito”, che cerca di dimostrare come questi due estremi possano convivere e se, eventualmente, uno dei due debba prevalere. Un genio deve sottomettersi a protocolli rigidi oppure può seguire soltanto le proprie idee?
La matematica è una scienza fondata sui fatti, su certe e meticolose dimostrazioni, eppure Ramanuajan, nella sua breve esistenza, sconvolse questo stato di cose, contribuendo con i suoi studi a modernizzare il campo di studi.
Il film, sebbene punti molto sulla personalità del protagonista, estremamente umana, non riesce fino in fondo a coinvolgere lo spettatore, finendo per risultare freddo e poco diretto. Nonostante sia presente l’aspetto privato e personale del personaggio, con l’inserimento della figura della giovane moglie lontana, i sentimenti appaiono come scritti a tavolino, come se lo spettatore dovesse emozionarsi a comando.
La regia di Brown è pulita e asciutta, ma priva di quel mordente e di quel quid che permettono a un film di fare il salto di qualità. Pur ricordando per trama “A beautiful mind”, quest’opera non ha né il pathos né il ritmo narrativo del film di Ron Howard.
La coppia Patel-Irons riesce solo in parte nell’impresa di trasmettere al pubblico il legame emotivo e unico che si instaura tra maestro e allievo.
La performance di Irons è sicuramente quella più intensa e convincente, soprattutto nella seconda parte della pellicola dove riesce a dare al suo personaggio credibilità e naturalezza, dimostrando come il rigido e formale professore cambi atteggiamento, avvicinandosi al genio dell’altro.
La carriera di Srinivasa Ramanuajan, diventato a sua volta professore per meriti scientifici nonostante non fosse laureato, fu stroncata precocemente da una tubercolosi. Ma nonostante questo il segno da lui lasciato nel mondo della matematica è indelebile, perché come altri geni del campo ha saputo dimostrare che non esistono regole e manuali che insegnano come cambiare il mondo.
Il biglietto da acquistare per “L’uomo che vide l’infinito” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.