Un film di Daniel Barnz. Con Jennifer Aniston, Anna Kendrick, Britt Robertson, Sam Worthington, Adriana Barraza, Lucy Punch, Chris Messina, William H. Macy. Drammatico, 102′. 2014
Ci sono vari modi per elaborare un lutto. C’è chi si chiude in casa a piangere, isolandosi da tutto e tutti, chi si ubriaca, chi mangia, chi si droga, chi diventa volutamente “stronzo” e acido. È vero che le ferite dell’anima non si vedono, ma fanno male quanto – se non di più – di quelle fisiche.
Immaginate un Dr House in versione femminile e avrete Claire Simmons (Aniston). Chi è Claire? Un avvocato brillante e soprattutto una donna arrabbiata e dolorante, nel fisico e nello spirito.
Lo spettatore la inquadra fin da subito, quando, nella prima scena del film, viene mostrata durante l’incontro di un gruppo femminile di sostegno a persone in depressione, che commenta con cattiveria e cinismo il suicido di una paziente, la giovane mamma Nina (Kendrick).
Claire è cosi perché soffre a causa di incidente occorsole da più di un anno che le ha devastato il fisico, lasciandole sul corpo e sul viso terribili cicatrici e causandole atroci dolori che solo l’abuso di antidolorifici riescano a placare.
Dorme poco, ha allucinazioni e ha eretto un muro nei confronti del mondo mettendo al bando ogni tipo di emozione. Solo la dolce e premurosa colf messicana Silvana (Barraza) riesce a rompere il suo isolamento emotivo, facendole anche da autista nei suoi viaggi tra le varie farmacie alla ricerca delle indispensabili pillole.
L’incidente ha stravolto in maniera tragica e drammatica l’esistenza di Claire, spingendola ad allontanare il marito e ad avere istinti suicidi a causa della perdita del figlio. Nel corso del film, però, a questo istinto di morte si sostituisce la curiosità di conoscere la famiglia di Nina, la madre suicida: l’inizio dell’amicizia con il marito di lei, Roy (Worthington), e la conoscenza del figlio della coppia diventano una forma alternativa di antidolorifico.
Jennifer Aniston sorprende con una prestazione intensa e toccante, mostrandosi capace di portare in scena una forma di dolore diverso dal solito. Infatti l’attrice americana, grazie a un testo ben scritto e tagliato su misura per lei, racconta l’incapacità di una donna di elaborare un lutto, mostrandoci il dolore anche visivamente, attraverso le sofferenze fisiche, le maschere e smorfie della protagonista. Il pubblico non può non essere toccato da una performance così credibile e realistica.
Degna spalla della Aniston è sicuramente Adriana Barraza che regala un’interpretazione di alto livello, dando al suo personaggio al contempo leggerezza e umanità.
La regia, forse più di taglio televisivo, è comunque nel complesso puntuale e precisa nel raccontare l’evoluzione emotiva della protagonista, garantendo sempre un buon pathos.
Il film risente, invece, di un ritmo narrativo non sempre costante e fluido e così, nella seconda parte, si avverte un appesantimento e una certa lentezza nello sviluppo della storia che in qualche mondo incide negativamente sull’attenzione del pubblico, dando la sensazione di trovarci davanti a “un brodo allungato”.
Il finale, seppure prevedibile, riesce comunque a emozionare e toccare l’anima dello spettatore grazie all’intensità della Aniston e al forte messaggio rivolto a chi si strugge ed è piegato dal dolore da ogni punto di vista. Nonostante tutto, rimettersi in piedi, con la schiena dritta, è sempre possibile.
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Il biglietto d’acquistare per “Cake” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.