Un film di Tim Robbins. Con Sabra Williams, Jeremie Loncka. Documentario, 95′. USA 2019
Un gruppo di detenuti della prigione di Stato di Calipatria partecipa a un laboratorio teatrale con la compagnia di Tim Robbins, The Actors’ Gang. Sfidando le barriere razziali e le affiliazioni tra gang, i carcerati esplorano emozioni a lungo rimaste sopite dando vita a legami inaspettati tra uomini un tempo rivali. Rifacendosi a personaggi tipici della Commedia dell’Arte, gli uomini si misurano con le sfide dell’ambiente violento in cui vivono nel cammino verso una trasformazione e liberazione estranee alla vita dietro le sbarre.
Capita ciclicamente di discutere di come la realtà carceraria sia diventata esplosiva e drammatica nel nostro Paese. Tanti, troppi detenuti sono rinchiusi in prigioni fatiscenti, incapaci di accogliere questo flusso di persone in costante aumento.
I casi di suicidi, violenze e maltrattamenti sono all’ordine del giorno. Tutti invocano giustizia e rispetto delle sentenze, ma è difficile realizzare tali desideri in assenza degli adeguati strumenti. E non stanno meglio quelli che sollecitano una riforma del sistema…
Ma se l’Italia piange, gli Stati Uniti non ridono di sicuro – magra consolazione. Anche oltreoceano la situazione è complessa: la presenza nelle carceri di detenuti di diverse etnie porta alla formazione di gang e divisioni all’interno delle strutture stesse, con difficoltà di convivenza e comunicazione.
L’urgenza e la necessità di creare le condizioni per un armonioso mescolamento dei detenuti ha spinto l’attore Tim Robbins, da sempre impegnato politicamente, a realizzare in tredici carceri californiane il progetto “The Actors’ Gang”. L’idea di fondo è che la recitazione e gli esercizi di meditazione possano favorire la creazione di ponti emotivi tra i partecipanti.
Il documentario “45 seconds of laughter”, presentato fuori concorso alla Mostra del cinema, racconta la nascita e lo sviluppo del progetto nella prigione statale di Calipatria. Ma se sul piano sociale e civile l’intento è lodevole, l’aspetto puramente cinematografico non convince altrettanto.
Lo spettatore fatica a comprendere i metodi d’insegnamento di Robbins, con l’alternanza di esercizi respiratori, meditazione e giochi di gruppo che trasmettono una sensazione di caos e impediscono una connessione emotiva stabile con protagonisti. Sembra di avere davanti un lungo spot promozionale autocelebrativo, piuttosto che un film teso a sensibilizzare l’opinione pubblica e a far conoscere il progetto.
Dispiace sottolineare le criticità strutturali e stilistiche di “45 seconds of laughter”, ma è un’opera priva di mordente e calore, una componente quest’ultima che non dovrebbe assolutamente mancare.
L’arte e la recitazione in particolare hanno sempre svolto una funzione salvifica e terapeutica, e ben vengano altri cento progetti come questo affinché anche il peggior criminale possa trovare un modo per relazionarsi con gli altri. Dice Robbins che la violenza non serve: bastano 45 secondi di risate.