“Into the Wild”: la felicità non è uno specchio

di Giulia Bacchi

 

Jim Morrison diceva: “Rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire”.

Così, un mattino, apri gli occhi e ti siedi sul letto. E pensi che la chiave per vivere, ma vivere davvero, sia uscire dal sentiero spinoso e soffocante che qualcuno ha già minuziosamente tracciato per te. Ti manca l’ossigeno, come se un sacchetto di plastica ti occludesse bocca e narici; hai gli arti pesanti come se delle catene ti stringessero polsi e caviglie da anni; i volti e i luoghi di cui conosci ogni ruga, ogni dettaglio, ti fanno venire la nausea.

Prendi uno zaino, allora, e due o tre paia di scarpe. Apri la porta di casa per l’ultima volta. Nella mente, un solo pensiero: scappare. Vivere.

Into the wild, locandina

Tutti ci siamo sentiti così almeno una volta nella vita, ma la maggior parte di noi non è mai arrivato neanche a riempire lo zaino. Qualcuno, forse, è uscito di casa, ma presto o tardi è tornato. Questo perché tutti, volenti o nolenti, giusto o sbagliato che sia, tendiamo a mantenere vivo e teso un filo di collegamento fisico o mentale con il nostro luogo d’origine. Tutti, tranne Christopher McCandless.

La vera storia del viaggio di sola andata di Christopher viene raccontata per la prima volta da Jon Krakauer nella biografia “Nelle terre estreme” (1997), per poi ricevere fedele e intensa trasposizione cinematografica in “Into the Wild – Nelle terre selvagge” (2007) sotto la direzione di un metodico e acuto Sean Penn.

La pellicola rende omaggio a questo giovane entrato nella storia per aver viaggiato per due anni a piedi attraverso gli Stati Uniti, dopo essersi lasciato alle spalle una famiglia che non lo capiva e, soprattutto, un’asfissiante società consumistica votata al materialismo più becero. Dal West Virginia all’Alaska, Christopher ha intrapreso un viaggio fisico e mentale, senza soldi, nutrendosi di ciò che trovava e dormendo dove capitava.

È un Emile Hirsh ruvido, fisicamente maltrattato, con uno sguardo così emozionale da far male, a interpretare Christopher, che nel suo percorso incontra i personaggi più diversi, dagli hippie tra le nuvole alle cantautrici acerbe, fino agli scontrosi veterani di guerra.

La vera storia d’amore al centro del racconto è, però, quella tra Christopher e la natura. Piano piano, la natura non è più altro rispetto a lui. Camminando, dormendo, mangiando circondata da lei, la natura entra dentro Christopher. E questa unione – così primordiale ma, proprio per questo, irrimediabilmente difficile – lo pervade di una serenità simile a quella che si deve provare nel grembo materno.

Il filosofo Henry David Thoreau, da cui Christopher fu molto influenzato, scrisse (chi ha visto “L’attimo fuggente” se lo ricorderà di certo): “Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. […] Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa”.

Vivere profondamente, fino a morirne. Christopher muore per sbaglio, mangiando bacche velenose in Alaska. Completamente solo. La sua ultima frase, nel film, è una verità talmente agghiacciante e crudele nella sua semplice evidenza che spezza il cuore: “La felicità è reale solo se condivisa”.

Come dire: succhiare il midollo della vita è possibile solo se c’è qualcuno con noi a condividerne l’esperienza. La felicità non è uno specchio in cui ci possiamo riflettere, ma è un istante di cui un altro deve poter testimoniare l’esistenza. Il tuo urlo, il tuo sorriso, il tuo “ti amo” o le tue lacrime sono privi di senso se nessun altro li vede, li sente, li vive.

Into the Wild – Nelle terre selvagge ha la capacità di raccontare una storia, lasciando a noi l’interpretazione del finale. Scappando dalla società, Christopher McCandless si è “rifiutato di vivere e di amare” per paura di soffrire e morire? O ha vissuto e amato molto più di chiunque di noi, sacrificando se stesso alla natura che ha originato tutto e tutti? Cosa significa davvero vivere profondamente?

Forse, Christopher ha già fatto tanto spingendoci a porci questa domanda. Forse, è proprio da qui che arriveremo alla risposta. E allora, un mattino, apriremo gli occhi. E sapremo cosa fare.


Previous articleAl cinema: Ogni maledetto Natale
Next articleDistopie ieri come oggi: perché il genere affascina i lettori
Contributi esterni
Contributi inviati da persone esterne alla nostra redazione. Guest post, interviste, recensioni e molto altro.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here