“Whitney”: al cinema il discusso documentario sulla cantante

Nick Broomfield racconta l'artista e la donna, attraverso spezzoni di vita vissuta, interviste e concerti

Un film di Nick Broomfield. Con Whitney Houston. Documentario, 90′. Gran Bretagna 2017

Nei cinema dal 24 al 28 aprile

 

L’11 febbraio 2012 il mondo della musica ha subito una grave perdita con la morte della cantante e attrice Whitney Houston, deceduta a causa di abusi di droghe, da sola, nella sua vasca da bagno.

Una notizia che sconvolse i milioni di fan, ma che non colse i più di sorpresa, dato il modo con cui l’artista negli ultimi anni si era votata a una sorta di autodistruzione, per colpa di delusioni personali e sentimentali.

Ma è giusto ricordare una delle più belle voci del secondo Novecento, l’artista più premiata e famosa di tutti i tempi secondo il Guinnes dei primati, solo come una drogata? Chiaramente no. Perché Whitney Houston è stata molto altro.

Nick Broomfield, su mandato della BBC, ha realizzato un documentario sulla vita della Houston. A cinque anni dalla morte, riscopriremo con “Whitney” i lati nascosti di una donna fortissima e magnetica sul palco, fragile nell’anima.

Broomfield, già apprezzato per il pregevole lavoro su Kurt Cobain, ha realizzato il documentario unendo scene di vita quotidiana, interviste a colleghi e amici, spezzoni dei più bei concerti. Ne scaturisce un omaggio delicato, sensibile, incisivo.

“Whitney” ci mostra com’è nata una delle stelle più luminose della musica mondiale e come si sia, lentamente, spenta, fino al tragico epilogo. Ma non solo musica: la pellicola permette di conoscere anche aspetti intimi e poco noti della vita privata della Houston.

Forse l’unica pecca è l’eccessiva lunghezza: un’ora e 40 sono oggettivamente troppi.

 

IL MATRIMONIO, LA FIGLIA, L’AMORE

Il paradosso amaro e tragico della biografia di Whitney Houston è di essere diventata una stella di fama mondiale nel momento sbagliato, in quegli anni ‘80/’90 dove le conquiste ottenute oggi in campo di diritti civili erano ancora lontane e molte persone erano costrette a celare il loro orientamento e la loro stessa natura.

Whitney Houston aveva un’amica speciale di nome Robyn con cui era cresciuta. Le due condividevano un legame d’affetto, forse anche d’amore, che però fu osteggiato dalla famiglia dell’artista e dallo stesso show business, perché incompatibile con l’immagine che di lei si voleva far passare.

Whitney Houston e Kevin Costner in una scena del film “The bodyguard” (1992)

Da qui il matrimonio di facciata con il musicista e bad boy Bobby Brown, matrimonio che Whitney tentò comunque di tenere in piedi per amore della figlia Bobbi Cristina e per la sua radicata fede.

Fino al tour del 1999, ci racconta il documentario, nella vita e cuore della Houston c’erano sia Bobby che Robyn, eternamente in lite, finché la seconda, stanca di questo triangolo, lasciò Whitney al suo destino e in qualche modo segnò anche l’inizio del suo declino.

 

LA FEDE E LA FAMIGLIA

La fede ha ricoperto un ruolo importante nella vita della cantante, nata e cresciuta in una famiglia umile ed estremamente religiosa di Newark, comunità dove era ancora forte e sentito il pregiudizio razziale.

I “colored” avevano poco spazio per emergere e il più delle volte cadevano preda della tentazione della droga. Whitney iniziò a fare uso di droga a dieci anni, insieme ai fratelli, una dipendenza che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita.

Che dire dei genitori, la madre Cissy Houston, mentore e manager, figura ingombrante e austera, e il padre, amatissimo con cui poi si scatenò un conflitto per motivi economici.

Le testimonianze della fidata guardia del corpo, dei musicisti, dei produttori, dei semplici collaboratori raccolte da Broomfield raccontano un personaggio duplice. Tanto era il talento della Houston quando saliva sul palco, tante le fragilità della donna nella vita privata, unite all’incapacità di dominare i propri demoni e di dare un taglio alle droghe.

Lo spettatore assiste dapprima alla bella e commovente favola di una ragazza venuta dal basso, che grazie a una voce unica, dono di Dio, riesce a conquistare il mondo prima in campo musicale e poi anche al cinema (ricordiamo “The bodyguard”, il film del 1992 con Kevin Costner).

Poi all’apice del successo, la favola si trasforma in noir, dove l’eroina è incapace di fermare la sua stessa distruzione.

“Whitney”, per quanto esca tra le polemiche, ha il merito di fare chiarezza sulla storia vera della cantante, di tributarle i meritati onori e di conoscere anche il suo lato più dolce e umano.

Alla fine non si può non provare almeno un briciolo di tristezza nel realizzare quanta solitudine e infelicità abbia provato la Houston nella parte finale della sua vita, abbandonata da tutti e costretta a rinunciare alla compagnia di Robyn, forse l’unica persona che l’abbia mai amata e compresa fino in fondo.

 

Il biglietto da acquistare per “Whitney” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre (con riserva)

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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