Anno 2070. Una città capitale di uno Stato governato dalla dittatura ha imposto come unica religione quella civile dell’Utile, declinandolo nella sua peggiore accezione, inserendo in TV, PC e iPod speciali programmi capaci di influenzare il comportamento della popolazione, oltre a operare un certo tipo di censura. Ma in un’antichissima città sotterranea si alimenta un progetto collettivo di Rivoluzione, organizzato da intellettuali, artisti, esclusi, tra cui Luna, giovane pittrice dissidente.
Tra poesia, humour, avventura, sapienza indios e un amore fuori dall’ordinario, I violini del cosmo ci seduce, invitandoci a cambiare prospettiva, considerando l’altro “divino” perché “portatore di diversità”, e a credere nella forza della parola e dell’arte.
“I violini del cosmo (anno 2070)” di Alessandra Giusti è un racconto, più che un romanzo – meno di 50 pagine – distopico e a suo modo visionario piacevole da leggere, con ottime potenzialità che a mio avviso potevano essere sviluppate in maniera più estesa.
Partiamo dal fatto che raccontare una storia finita – e un mondo diverso dal nostro – in così breve spazio non è semplice: descrizioni e approfondimento psicologico cedono gioco forza il passo a ritmo incalzante e azione. Se si vuole coinvolgere il lettore e farlo viaggiare con la fantasia in poche pagine si devono fare delle scelte – e in questo caso l’autrice punta su uno stile molto personale, piano eppure intenso, e come dicevo sull’azione più che sull’approfondimento.
Credo però che questa storia di rivoluzione e rivalsa del genere umano contro una dittatura che ha cercato con ogni mezzo di appiattire l’individualità e il talento avrebbe potuto essere resa più intensa e profonda, attraverso qualche pennellata in più.
Sono soprattutto i personaggi ad apparirci un po’ troppo piatti e monodimensionali. I genitori della protagonista Luna, che compaiono solo una volta nel testo, sono troppo buoni e buonisti; lei, l’eroina artista, Luna, è troppo aperta e facile da convincere. I suoi comportamenti sono quelli che più mi hanno fatto riflettere e sorgere dei dubbi sulla tenuta del libro. Essendo Luna cresciuta in una società repressiva, che tende a insitllare nelle persone il timore nei confronti delle deviazioni, delle ribellioni, di ciò che è diverso (perché a me sono venuti in mente i personaggi di grandi romanzi come 1948 di Orwell e Fahrenheit 451 di Bradbury che si sentono costantemente controllati e braccati?) non avrebbe dovuto avere qualche dubbio a seguire Pablo, un ragazzo che ha conosciuto da meno di un secondo?
Il suo atteggiamento stride con quello che della società de “I violini del cosmo” ci viene rivelato dall’autrice – se tutti sono controllati, perquisiti, monitorati, come può Luna muoversi con tanta libertà e non porsi un solo problema al mondo sull’identità del suo Cicerone?
Anche il tema della rivoluzione, il vero snodo della trama, il cuore pulsante della storia, personalmente, l’ho trovato affrontato in modo un po’ troppo frettoloso.
Il genere distopico-catastrofico offre dei buoni spunti di partenza. Alessandra Giusti sembra avere idee interessanti, e chissà, magari qualcosa da dire da un punto di vista moderno e contemporaneo sul tema. Peccato non abbia voluto approfondire la cosa, ma si sia tenuta sul generico. Una ripresa dell’idea in chiave più estesa, magari?
Quello che ho apprezzato di questo libro soni i riferimenti all’oggi, al presente. Anche scrivendo di un mondo apparentemente lontano e altro penso si possa trovare il modo di lanciare messaggi e spunti di riflessioni ai lettori del 2016. I libri ben riusciti, per come li intendo io, servono proprio a questo: a far pensare, a raccontare storie che però, in modi misteriosi e talvolta per vie traverse, ci aiutano a capire meglio quello che stiamo vivendo, il mondo che cambia mentre noi ci stiamo sopra. Da questo punto di vista l’autrice ha fatto un ottimo lavoro.