Titoli: quando scegliere le parole per la copertina di un libro è un’arte

Allusivi, ingannevoli, sensazionalistici, ma anche mal tradotti e condizionati dall'evolversi della lingua

di Sara Cappellini

 

Negarlo sarebbe da sciocchi: insieme alla copertina, il titolo di un libro è ciò che più cattura l’attenzione del possibile lettore quando si tratta di scegliere cosa acquistare. Per questo, esperti di marketing ed editori si concentrano oggi più che mai su questo elemento, cercando di attirare la fetta più ampia possibile di pubblico.

La tendenza che si sta imponendo nell’ultimo periodo è quella di utilizzare titoli che mettano l’accento sulla straordinarietà delle vicende narrate. Così troviamo “La fantastica storia dell’ottantunenne investito dal camioncino del latte” di J. B. Morrisn, oppure “L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea” di Romain Puértolas.

I titoli allusivi hanno anche loro il potere di accendere l’interesse, soprattutto se giocati con abilità e intelligenza. Pensiamo al best-seller di Mauriel Barbery “L’eleganza del riccio”, il cui titolo può lasciare perplessi, prima di leggere il romanzo. Le parole alludono al fatto che la protagonista sia una donna di rara intelligenza che però, come un riccio, si nasconde dal mondo e indossa gli abiti di una portinaia dimessa e mediocre. “Ogni cosa è illuminata” di Jonathan Safran Foer, invece, evoca l’idea della ricerca della verità sul passato della famiglia del narratore.

Altro esempio interessante è “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee. In questo caso il titolo rappresenta una metafora per la paura dell’ignoto. Jem e Scout temono il vicino di casa, che vive appunto al di là della siepe, semplicemente perché non lo hanno mai visto e quindi non lo conoscono.

Esiste anche una bella casistica di titoli cosiddetti ingannevoli, perché hanno poco o niente a che vedere con la trama. Pensiamo a “Wolf Hall” di Hilary Mantel, dove, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ci sono lupi. Il libro è infatti una biografia fittizia di Thomas Cromwell, consigliere di Enrico VIII d’Inghilterra. Ne “La vedova incinta” di Martin Amis non si parla affatto di una donna in dolce attesa; la frase non è che un tributo al romanzo “Dall’altra sponda” di Aleksandr Herzen, grande esponente della letteratura russa.

In molti casi è la traduzione a stravolgere il senso originario del titolo di un libro. Chi legge “Il richiamo del cuculo” di J. K. Rowling non troverà prima di tutto nessun accenno a un cuculo o a qualsivoglia uccello. Il termine inglese ‘cuckoo’ – in italiano, cuculo – è infatti il soprannome della protagonista, ma viene tradotto solamente nel titolo e non nel testo. Inoltre il gioco di parole inglese “The cuckoo’s calling”, che indica sia il richiamo del cuculo sia il fatto che la protagonista avesse cercato di contattare telefonicamente qualcuno prima di morire, è intraducibile in italiano.

Ma un titolo può essere soggetto a fraintendimenti anche per via dell’evolversi di una lingua nel corso del tempo. Quando “Stoner” di John Williams venne riscoperto, nel 2013, molti lettori americani pensarono di star per leggere un libro sulla droga, perché ‘stoner‘ si utilizza colloquialmente per indicare chi fa uso di marijuana. In realtà William Stoner vive una vita piatta e del tutto priva di droghe. Quando l’autore scrisse il libro, negli anni ’60, il termine non aveva ancora assunto la nuova colorazione.

Le tendenze da citare, parlando di titoli, sarebbero tantissime. Ma vogliamo concludere dedicando una piccola riflessione all’utilizzo che viene fatto di certe parole semplicemente perché attirano l’attenzione dei lettori. Pensiamo all’abbondanza di titoli che richiamano, oggi, le “Cinquanta sfumature”: dai libri che ne seguono la scia anche nei contenuti, come “Io sono Grey”, alle parodie ironiche, come “Cinquanta sbavature di grigio”, per finire coi libri da cucina – per qualche tempo c’è stato in vendita un “50 sfumature di cioccolato”.

Cosa dire del successo che sembra non tramontare mai per i libri che parlano di libri? Ecco allora che usare i termini romanzo, libreria, libraio e via dicendo in copertina risulta una scelta vincente, e ci troviamo invasi da “Tutta colpa di un libro”, “Lo strano caso dell’apprendista libraria”, “Una piccola libreria a Parigi”, “La libreria del buon romanzo”, e chi più ne ha più ne metta.

Per quanto la metaletteratura abbia sempre il suo perché, e per quanto il pubblico mostri di apprezzare un certo tipo di storie libro-centriche, forse quando si tratta di titoli si dovrebbe evitare di giocare troppo con le parole, rischiando di affibbiare agli acquirenti delusioni colossali.

 

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