di Chiara Bonelli

 

Susanna Casciani è l’autrice per coloro che, a parole, certe emozioni non sanno come esprimerle, per coloro che si imbarazzano a dire “amore” ad alta voce.

Trasformare in un discorso di senso compiuto il tumulto che abbiamo dentro può risultare impresa difficile, per questo ci sono i libri. Che ci fanno sentire meno soli, meno pazzi, meno incompresi. Che ci danno l’imput, anche, per superare le nostre paure e barriere e buttarci nella vita vera.

Meglio soffrire che mettere in un ripostiglio il cuore” è uscito per Mondadori nel 2016.

Susanna Casciani, classe 1985, nella vita è insegnante di scuola primaria. E con quella stessa semplicità con cui può raccontare una favola a uno dei suoi giovani allievi, ha raccontato la storia di un amore. Di come nasca, viva, finisca.

C’erano una volta un ragazzo e una ragazza. C’erano una volta perché adesso non ci sono più. Un sabato mattina di fine aprile lui si sorprese a piangere davanti a lei. Non riusciva a parlare. Avrebbe voluto confessarle che era finita, ma sapeva che poi lei avrebbe iniziato a singhiozzare, e non ne sopportava nemmeno l’idea. Lei alzò lo sguardo dal suo libro come se avesse avvertito una forza nuova in casa, incontenibile, che l’avrebbe schiacciata contro il muro se non si fosse aggrappata a qualcosa, così si aggrappò al suo orgoglio, o a quello che ne rimaneva. Chiuse il libro, si alzò dal divano e si diresse verso di lui, si mise sulle punte e gli accarezzò la testa. Gli disse di stare tranquillo. Lui le faceva del male e lei lo consolava. Gli diede un bacio sulla guancia e uscì di casa senza voltarsi, per non essere costretta a dirgli addio. Quando, quasi tre ore dopo, tornò a casa, lui non c’era più. Sfinita, si addormentò su quello che era stato il loro letto. Più tardi, si svegliò di soprassalto e mise a fuoco nel buio quella parte di letto, così vuota, e avvertì un macigno sul petto che non la faceva respirare. Si rese conto di non essere pronta a lasciarlo andare. Si alzò per cercare un quaderno, come se improvvisamente fosse una questione di vita o di morte. Ne trovò uno. Conosceva le regole: non chiamarlo, non cercarlo, non seguirlo (!!!), non inviargli messaggi, bloccarlo su ogni social network, non giocarsi la dignità. Conosceva le regole, ma le stavano strette…

Meglio soffrire che mettere in un ripostiglio il cuore” parla d’amore, di sentimenti, di persone. Spinge a ricordare che gli eventi, le perdite, i fallimenti possono renderci fragili, ma ci fanno anche sentire vivi. Perché le nostre fragilità sono i colori in un mondo che, altrimenti, sarebbe tristemente in bianco e nero.

 

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