Un film di Richard Glatzer, Wash Westmoreland. Con Julianne Moore, Kristen Stewart, Kate Bosworth, Alec Baldwin. Drammatico, ’99. 2015

 

Cosa sarebbe la nostra vita senza ricordi? La memoria e l’esperienza sono i due capisaldi dell’esistenza di ognuno di noi, ciò che ci rende forti e vivi. La memoria è il nostro tesoro, il porto in ci rifugiamo quando la realtà appare sgradevole e ostile.

Eppure esiste una malattia atroce che va a toccare, disintegrandola poco a poco, la consapevolezza di ciò che abbiamo vissuto. Parliamo dell’Alzheimer. Una parola brutta, anche dal solo punto di vista fonetico, per un male che trasforma, lentamente e inesorabilmente, un essere umano in un vegetale, in uno zombie.

L’Alzheimer è considerato un’emergenza nazionale negli Stati Uniti; nel nostro paese, invece, le costose cure per chi soffre di questo morbo sono a carico dei familiari.

Generalmente colpisce le persone anziane, ma i casi di pazienti “giovani” sono in forte aumento. Una malattia misteriosa per molti aspetti, difficile da prevenire.

“Still Alice” è la cruda e amara storia di Alice (Moore), bella e atletica cinquantenne, stimata professoressa di Lingue in una prestigiosa Università, che si scopre malata di Alzheimer. Alice è una donna realizzata nel lavoro e felice nella vita privata. Ha infatti un marito, medico affermato, e tre figli.

La protagonista si rende conto che qualcosa non va nella sua mente quando, durante una conferenza, scopre di non ricordare più le parole da pronunciare. Allarmata, consulta un neurologo che dopo gli esami emette la drammatica sentenza: Alzheimer precoce e di origine genetica.

La notizia stravolge la vita di Alice e della sua famiglia. Il marito John (Baldwin) cerca in tutti i modi di starle vicino e di sostenerla. Anche i figli, seppure preoccupati dell’ereditarietà della malattia, si stringono intorno alla madre.

Per Alice, donna forte ed energica che ha fatto della proprietà di linguaggio l’essenza stessa della sua vita, soffrire di Alzheimer è come subire una sorta di contrappasso dantesco. La donna lotta con tutte le sue forze per evitare di perdersi e nello stesso tempo predispone un accurato piano, qualora le tenebre calassero su di lei.

Se da un lato il male spegne Alice, dall’altro le dà modo di comprendere e appianare i conflitti con la ribelle e inquieta figlia Lydia (Stewart), che sogna di fare l’attrice piuttosto che frequentare il college, cosa che preoccupa non poco la madre.

La sceneggiatura è asciutta, semplice, diretta e personalmente la ritengo precisa e rigorosa nel descrivere l’inizio della malattia e il modo con cui questa cambia non solo la vita del malato, ma anche quella dei familiari.

Quando si racconta un male e le sofferenze di un malato, di solito un testo tende a scivolare nel melenso e soprattutto a portare alla lacrima facile. Qui invece gli autori hanno il pregio di accompagnare il lettore per mano nella drammatica conoscenza dell’Alzheimer, senza per questo far ricorso a scene eccessivamente cariche e forti per indurlo alla commozione.

Il film porta a vedere il mondo dalla prospettiva di Alice e fa comprendere quanto sia terribile e angosciante perdere, giorno dopo giorno, una parte di te. I dialoghi sono sobri, credibili e comunque intesi e avvolgenti.

La regia è di taglio televisivo, ma si tratta certamente di un prodotto di buona qualità, attento a raccontare una storia con delicatezza ed eleganza e a creare un ponte emotivo tra ciò che avviene sullo schermo e il pubblico in sala. Uno stile pulito, quello di Richard Glatzer, che esalta il cast, già di per sé talentuoso.

Se dovessimo dar retta ai rumors e ai premi assegnati dalla critica nelle ultime settimane, il prossimo 25 febbraio Julianne Moore dovrebbe vincere l’Oscar come migliore attrice senza se e senza ma. Sappiamo bene, però, che la storia dei premi cinematografici a stelle e strisce è ricca di colpi scena e di verdetti clamorosi e discutibili.

La Moore avrebbe meritato di vincere, per bravura e intensità, già da tempo, eppure è ancora a mani vuote. La sua Alice è davvero toccante, vera, forte, empatica, elegante e umana. Lo spettatore partecipa al suo drammatico e rapido declino. Si unisce alla sua lotta, pur sapendo che si tratta di una battaglia persa.

All’interno di un cast solido e molto giusto per questa storia, merita una menzione speciale Kristen Stewart. La giovane attrice – resa famosa dal ruolo di Bella nella saga di “Twilight” – sta crescendo artisticamente, e si sta togliendo gli abiti scomodi dell’adolescente che perde la testa per il vampiro. La sua Lydia, divisa tra voglia di ribellione e affetto filiale, convince.

Il finale del film, toccate e drammatico, evita però di mostrarci la “caduta” definitiva della protagonista, preferendo mostrare come l’Alzheimer possa togliere tutto a una persona – i ricordi, la consapevolezza, la vita stessa -, lasciandola nuda, ma non potrà mai privarla dell’amore dei suoi cari.

 

Il biglietto da acquistare per “Still Alice”:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

Previous articleGli effetti secondari dei sogni, Delphine De Vigan
Next articleScrittori in gioco: quando game e videogame non sono solo da bambini
Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here