“Sofia”: un’opera prima di grande spessore sociale, politico e artistico

La regista Meryem Benm'Barek racconta il Marocco, le sue contraddizioni burocratiche e familiari

Un film di Meryem Benm’Barek. Con Sara El Mhamdi Elalaoui, Lubna Azabal, Faouzi Bensaidi, Sarah Perles. Drammatico, 90′. Francia, 2018

Sofia, durante un pranzo, ha violenti crampi allo stomaco. La cugina Lena, una studentessa di medicina, decide di visitarla ma proprio in quel momento a Sofia si rompono le acque. Nessuno sapeva della sua gravidanza e, usando come scusa la necessità di recarsi in farmacia, Lena prende l’iniziativa di portare Sofia all’ospedale per partorire. Con l’arrivo del bambino, le due cugine si mettono alla ricerca del padre della piccola.

 

Il Festival di Cannes 2018 sarà ricordato negli anni, oltre che per i film, per le proteste vibranti delle donne e dei movimenti contro la violenza di genere, per i red carpet “schierati” e i discorsi infuocati (vedi quello di Asia Argento durante la serata conclusiva).

La stampa non ha esitato a salire sul carrozzone, e ogni giorno sono usciti articoli solidali, partecipati, vibranti. Ovviamente anche il sottoscritto condanna ogni forma di violenza, riconoscendo la parità se non addirittura la superiorità delle donne rispetto agli uomini. Ma siamo sicuri che passare dall’indifferenza all’esaltazione del problema sia l’approccio migliore?

Una domanda che evidentemente si è posta anche l’esordiente regista marocchina Mereyem Benm’Barek nello scrivere e poi dirigendo il sorprendente e convincente “Sofia”, presentato in concorso nella sezione Un certain regard e vincitore del premio per la miglior sceneggiatura.

Recita l’articolo 490 del codice penale marocchino: Una donna riconosciuta colpevole di aver avuto un rapporto sessuale con altro uomo al di fuori del matrimonio è soggetta ad una pena da un mese a un anno di carcere.

Un avviso, un avvertimento, come si crede all’inizio, oppure la chiave di lettura per capire l’essenza del film?

La giovane Sofia (El Mhamdi Elalaoui) ha tenuto la famiglia all’oscuro della sua gravidanza. Dopo il parto, la sua decisione di non rivelare le generalità del padre della figlia aprono due fronti: quello giudiziario e quello familiare.

Sofia è stata violentata? Si tratta della classica storia di seduzione e successivo abbandono? E il matrimonio riparatore imposto dal corrotto commissario di polizia metterà la parola fine al caso?

“Sofia” è un gioco di inganni e manipolazioni, costruito drammaturgicamente in modo convincente e incalzante, e che assume da una parte i contorni del thriller psicologico, dall’altra quelli del dramma contemporaneo. Ma è anche un affresco intimo ed efficace delle diverse tipologie di donne che esistono oggi in Marocco e di quanto il loro modo di reagire alle ingiustizie sia diverso.

Meryem Benm’Barek firma un’opera prima di grande spessore sociale e politico oltre che autoriale e creativo, dimostrando di possedere potenzialità e talento oltre a grande fiuto nella scelta del cast.

Spiccano su tutti le due protagoniste, Sara El Mhamdi Elalaoui e Lubna Azabal, che colpiscono e conquistano, lasciando il pubblico, alla fine, davvero dubbioso nel dover assegnare il ruolo di carnefice e quello di vittima. In questo contesto, infatti, ogni personaggio sembra, pur con diverse sfumature, entrambi.

 

Il biglietto da acquistare per “Sofia” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre (con riserva)

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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