Un film di Guillermo Del Toro. Con Sally Hawkins, Doug Jones, Michael Shannon, Octavia Spencer, Richard Jenkins, Michael Stuhlbarg. Drammatico, 119′. USA, 2017

 

Se l’anno scorso Alberto Barbera (direttore artistico della Biennale cinema, ndr) aveva pensato a tutte le coppie innamorate tirando fuori dal cilindro “La La Land”, quest’anno ha voluto regalare una speranza ai single con “The Shape of Water” di Gullermo Del Toro, presentato a Venezia 74 in concorso.

Tranquilli, zitelle e scapoli d’Italia e del mondo: il vero amore può arrivare in qualsiasi momento, sotto forme inaspettate.

Ci sentiamo di scrivere fin da ora che il film di Del Toro promette di ripetere il successo di quello di Chazelle, perché come quello sa toccare con magia, eleganza e sensibilità il cuore e l’anima di ogni spettatore, anche del più cinico.

Molti colleghi saranno tentati di fare confronti, ma personalmente credo sarebbe un errore, perché per quanto belli “La La Land” e “The Shape of Water” sono diversi per scrittura, impianto registico e recitazione.

Questa storia è assai semplice, lineare, per alcuni versi persino povera. Gli sceneggiatori sono stati bravi a costruirci sopra un fantasy romantico, ambientato negli anni ‘50, in piena Guerra fredda.

La scelta temporale dà risalto alla storia d’amore impossibile e per molti versi folle tra due anime pure in cerca d’affetto, ma assai diverse, in un’epoca in cui il diverso era visto come un nemico pericoloso, da eliminare.

Elise Esposito (Hawkins) è una gentile e schiva inserviente in una base militare americana, divenuta muta da bambina e cresciuta come una figlia dall’eccentrico disegnatore (Perkins), costretto a celare la sua omosessualità.

Elise, che ha nella polemica Zela (Spencer) la sua unica amica, passa le giornate annoiandosi, ma sogna d’incontrare l’anima gemella o quanto meno d’essere amata.

Un giorno, in modo accidentale durante un turno di pulizia, scopre l’esistenza di un mostro marino dalle sembianze quasi umane (Jones), imprigionato e torturato dallo spietato agente speciale Strickland (Shannon), e anziché spaventarsi trova con lui un’immediata e intensa alchimia.

Così quando Strickland decide di uccidere la creatura, Elise non esita a organizzare un piano per salvare il suo amore, avvalendosi dell’aiuto di un sensibile scienziato (Stuhlbarg) dal passato misterioso.

“The Shape of Water” non è solo una bizzarra storia d’amore ma anche una spy story d’annata, dove per una volta i cattivi non sono i comunisti, ma gli stessi americani che, ieri come oggi, si dimostrano pieni di pregiudizi verso chi è diverso.

La regia di Guillermo del Toro è di assoluto talento, visionaria, delicata, esperta, sontuosa, capace di regalare momenti di grande cinema e sincere emozioni. La giuria della Biennale tra qualche giorno e quella degli Academy il prossimo anno, a nostro avviso dovrebbero ricordarsela.

Discorso analogo per la magnifica e intensa performance di Sally Hawkins, davvero naturale e credibile nel ruolo di Elise. Doug Jones, dal canto suo, è un mostro bello, elegante, tenero e spaventoso allo stesso tempo. La scena di ballo onirico tra i due vale da sola il prezzo del biglietto.

Michael Shannon si conferma attore solido ed esperto, a suo agio nel ruolo del cattivo senza scrupoli. Degni di menzione anche Octavia Spencer e Michael Stuhlbarg.

“The Shape of Water”, con il suo splendido e poetico finale, commuove e soprattutto regala una speranza a tutti coloro che fino a oggi hanno solo sofferto per amore.

 

Il biglietto da acquistare per “The shape of water” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre (con riserva)

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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