Pengfei: “Il cinema cinese si sta aprendo a nuovi generi e sfumature”

Intervista al regista di "The Taste of Rice Flower", presentato nelle Giornate degli Autori a Venezia

Dopo essere intervenuto alla Biennale nel 2015 con il film “Underground Fragrance”, il regista cinese Pengfei torna in Laguna con una nuova storia che parla di lavoro e migrazione. “The Taste of Rice Flower”, con protagonista Ying Ze, è stato presentato alle Giornate degli autori. È

Il film è ambientato in un villaggio rurale abitato dalla minoranza etnica Dai (una delle cinquantasei etnie presenti in Cina) nello Yunnan, grande regione nel sud ovest del Paese.

Una donna (Ying Ze) fa ritorno dopo aver lavorato in una grande città per dare sostegno economico alla famiglia, composta dalla figlia di undici anni e dall’anziano padre. Lei è una dei milioni di lavoratori migranti che lasciano le campagne per andare a lavorare nelle fabbriche e nelle aziende dei grandi centri.

Quel che trova al suo ritorno è una figlia ribelle, che non le perdona la lunga assenza, anche se sa che è partita per darle un futuro migliore. Ma come può una ragazzina cresciuta tra verdeggianti colline e cerimonie buddiste comprendere fino in fondo la vita capitalista e competitiva della città?

Il rapporto madre-figlia che ci mostra Pengfei si snoda all’interno dell’ambiente in cui vivono: la madre rappresenta la città lontana, sviluppata, nuova e sconosciuta, mentre la figlia il villaggio familiare, con la sua natura e i suoi riti semplici e antichi. Il conflitto è inevitabile, e porta con sé l’opposizione più grande tra campagna e città, senza però indicare chi sia il vincitore.

Paesaggi mozzafiato e musiche intense guidano lo spettatore per tutta la durata del film, fino al poetico finale che sa di pace, di armonia e di un’altra dimensione.

 

Noi di Parole a Colori abbiamo avuto la possibilità di incontrare Pengfei e di fargli qualche domanda.

Il regista Pengfei e l’attrice Ying Ze.

“The Taste of Rice Flower” è un film poetico e intenso, che colpisce per le ambientazioni ma anche per le tematiche affrontate. Posso chiederle prima di tutti perché ha scelto la minoranza etnica Dai come protagonista?

Possiamo dire che è stato il fato a scegliere, io in realtà non ho scelto una minoranza etnica o un posto preciso. Ero interessato a vedere com’è la vita dei lavoratori migranti quando tornano nei loro villaggi di origine, e dato che molti di loro vengono dalle province dello Yunnan e del Guizhou sono andato nello Yunnan sud occidentale, vicino al confine con il Myanmar. Alla fine ho vissuto lì per un anno in un villaggio della minoranza Dai, ed è stato un periodo davvero felice, ho stretto delle buone amicizie e mi sono immerso nelle loro usanze e nella pacifica vita rurale. Una volta tornato in città, a Pechino, mi sembrava tutto così strano, così diverso, e non riuscivo più a riabituarmi alla vita della metropoli.

Anche il suo film precedente, “Underground Fragrance”, affrontava il tema dei lavoratori migranti, anche se da una prospettiva diversa. Perché crede che sia un argomento da affrontare al cinema?

Dopo anni di studio a Parigi, al mio ritorno a Pechino ho conosciuto gente che veniva da ogni angolo del Paese per svolgere le più svariate occupazioni. Così ho cominciato a chiedermi cosa facessero, in che condizioni vivessero, che cosa si lasciassero dietro. Pechino è sicuramente molto grande, ma non infinita, e allora perché milioni di lavoratori migranti continuano a venire?

Aveva già lavorato con l’attrice protagonista, Ying Ze, in passato. Cosa può dirci del vostro rapporto sul set?

Mi sono trovato molto bene con Ying Ze durante il primo film e quindi abbiamo deciso di continuare anche per il secondo. Lavorare con lei è spontaneo, mi capisce al volo: quando sul set le chiedo di fare qualcosa lei immediatamente afferra cosa intendo, un movimento, uno sguardo, e lo fa alla perfezione. È forte, tenace e onesta, un’ottima attrice.

Pensate quindi di continuare a lavorare insieme in futuro?

Sì, certamente.

Ha già iniziato a progettare il prossimo film?

Sì, non ho ancora scritto niente ma sto sviluppando l’idea. Sarà sempre nello Yunnan, basato sul mio anno di vita in quelle zone, ma vorrei fare qualcosa di più acuto e penetrante, qualcosa sulle mie esperienze personali: la diffidenza iniziale delle persone verso i miei modi da estraneo, poi la loro fiducia che in seguito si è trasformata in amicizia, e poi un nuovo cambiamento quando hanno saputo che volevo realizzare un film… È ancora solo un’idea, ma ci sto lavorando su.

Questa non è la prima volta per lei alla Biennale di Venezia. Si sente diverso, rispetto al 2015? Quali sono le sensazioni di trovarsi di nuovo qui?

Questa è la mia seconda volta alla Biennale, è vero. La prima volta sono venuto per promuovere il mio primo film con l’aiuto di Vincent Wang (produttore) a cui sono davvero grato per avermi portato qui. Stavolta ho fatto tutto da solo, perché il film è stato prodotto interamente in Cina e Wang invece si occupa dell’Europa, quindi sono piuttosto soddisfatto e orgoglioso di avercela fatta da solo. E poi, trovo una differenza anche nel cinema cinese presente al festival: prima era più che altro uno sguardo critico e deprimente sulla società contemporanea, ora si sta aprendo anche ad altri generi che celebrano la bellezza e l’umorismo, e credo che questo sia importante per l’evoluzione del cinema cinese soprattutto all’estero.

Un’ultima cosa: bellissima colonna sonora.

Grazie, piace moltissimo anche a me. È di Keiichi Suzuki, compositore di Takeshi Kitano – tra l’altro è sua anche la musica del film di chiusura di questa Biennale, “Outrage Coda”. Sono davvero felicissimo che abbia accettato di scrivere la musica per il mio film!

 

Si ringrazia Go Global per l’invito all’intervista e per le foto.

 

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Valeria Lotti
Originaria della provincia di Roma, vive tra l'Europa e la Cina, coltivando la sua passione per lo studio di società e culture. Dottoranda a Berlino, ama scrivere di cinema, viaggi e letteratura. Si ritiene democratica e aperta alla critica, purché non sia rivolta ai libri di Harry Potter.

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