“Omicidio al Cairo”: un noir graffiante alla vigilia della Primavera araba

Tarik Saleh denuncia il lato oscuro del potere e la corruzione dilagante nella società egiziana

di Alessandra Pappalardo

 

Un film di Tarik Saleh. Con Fares Fares, Mari Malek, Yasser Ali Maher, Slimane Dazi, Ahmed Selim, Mohamed Yousry. Thriller, 106′. Svezia, Danimarca, Germania, Francia, 2017

Il Cairo, Egitto, gennaio 2011. Nouredin è un ufficiale della polizia corrotto come tutti i suoi colleghi. Chiede denaro per proteggere i commercianti da attacchi delle stesse forze dell’ordine di cui fa parte. Per le strade intanto iniziano ad avvertirsi i primi segnali di quella rivolta che avrà il proprio fulcro in piazza Tahrir. Nouredin si trova però impegnato nel caso dell’omicidio, in un hotel di lusso, di una cantante che gode di una certa notorietà. Una cameriera ha visto tutto e per questo rischia la vita. Il poliziotto si avvicina pericolosamente al possibile colpevole: un deputato del Parlamento.

 

Vincitore del Premio della giuria al Sundance Film Festival, “Omicidio al Cairo” di Tarik Saleh è un thriller/noir ambientato nel gennaio 2011, poco prima dello scoppio della serie di proteste e agitazioni ribattezzate dai media occidentali come Primavera Araba.

Girata a Casablanca, in quanto ritenuta scomoda dalle autorità egiziane, la pellicola denuncia la corruzione dilagante che investe tutti i settori del potere in Egitto, dai ranghi più bassi della polizia alle più alte cariche politiche.

Noredin (Fares) è un poliziotto di dubbia moralità che sta investigando sul caso dell’omicidio di una cantante, avvenuto nel lussuoso hotel Nile Hilton. Quando riceve l’ordine di interrompere le indagini, decide comunque di continuare le sue ricerche per far luce sulla vicenda. Questo lo porterà a scoprire il coinvolgimento di persone vicine al Presidente stesso…

Ispirato all’assassinio della cantante libanese Suzanne Tamim, avvenuto nel 2008, nel quale furono coinvolti un uomo d’affari egiziano e un membro del parlamento, “Omicidio al Cairo” trascina lo spettatore in un’atmosfera che è al contempo dark e malinconica, grazie anche alla sapiente regia di Saleh.

Al centro della storia, il lato oscuro del potere, una critica tutt’altro che sottile verso l’impunità di cui certi personaggi sembrano godere, ma anche il tentativo di catarsi e redenzione di Noredin. Peccato che l’ambiente circostante renda il percorso difficilmente destinato a un traguardo glorioso.

 

Previous article“Pig”: una commedia nera per ridere del dramma della censura in Iran
Next article“Girls always happy”: un rapporto madre-figlia sullo sfondo di Pechino
Parole a Colori
Un portale d’informazione che si occupa di cultura e spettacolo a 360°, con un occhio di riguardo per il mondo dei libri e dell’editoria, per il cinema, la televisione, l’arte.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here