Miti tua, Adriano Nicosia

di Manuela Prato
redazione di letturacritica

 

Miti tua, NicosiaA 16 anni, contro il parere della famiglia, Assunta si sposa. Il matrimonio, però, si rivela deludente e al di fuori di tutte le sue aspettative: da ragazza allegra ed esuberante si trasforma in una donna silenziosa, triste e annoiata. Ritrova la sua energia, la sua femminilità, frequentando il cugino che sembra ridarle il diritto di amare e di essere amata, una forza soffocata per troppo tempo. Il marito diventa, allora, l’ossessionante motivo della sua tristezza, la trappola che ostacola la vitalità riscoperta.


 

Al centro di questo potente romanzo, che scorre in una lingua tersa dove sembrano risuonare insieme gli echi delle sofferenze d’animo e la gioia di sentimenti forti, c’è la figura di Assunta. Una donna trascurata dal marito amatissimo, ma annebbiata dal puro spirito dell’uomo e dal suo concentrato egoismo. La sua solitudine è illuminata da un inatteso incontro con il cugino Raimondo, che adorerà nell’incesto. Quando l’ombra dell’abbandono sembra sfiorare la volontà di Raimondo, Assunta si interroga sul male del mondo, sulla paura di vivere, di perdere l’amore, di perdere se stessa. Vive ella stessa picchi di leggerezza e felicità continuamente alternati al supplizio, alla sofferenza per tutto ciò che non è corrisposto. Vive momenti di morte e di rinascita. Lo strazio per l’abbandono e soprattutto l’angoscia di non saper proteggere e tenere vivo il ricambio del suo sentimento portano Assunta a cercare nel suo credo irrequieto una strada di salvezza.  È la lotta che ciascuno di noi, in una forma o nell’altra, un giorno si trova a combattere. Ma quella di Assunta non è una lotta normale. Per una serie di circostanze vedrà il marito come unico ostacolo alla sua felicità.

È ella stessa terreno, campo di battaglia, dove si scontrano amore è incesto, passione e ragione, fragilità e grandezza d’animo” dichiara l’autore. Dopo aver letto il romanzo credo che sia la frase più appropriata per descriverne il senso in breve. Il libro sembra scritto da una donna. Adriano Nicosia è riuscito a raccontare l’animo femminile nel dettaglio, con molta bravura e particolarità.

Singolare, elevata e potente anche l’ultima riflessione della donna. “La mia anima è diventata un buco nero. È un viaggio verso la fine, la fine di me stessa. Non riesco a esternare il mio dolore, anzi, ne sono diventata gelosa di questo sentimento”.

Nicosia conferma la sua abilità nella scrittura,  una grande capacità a rappresentare particolari, che è frutto di un profondo spirito di osservazione e di studio.

La storia è avvincente, il ritmo incalzante, il libro si legge tutto d’un fiato. C’è il giusto equilibrio tra dialogo e parti descrittive, i personaggi hanno un’anima ben definita, nulla sembra lasciato al caso.

Assunta è la protagonista e quindi la parte femminile, ma c’è anche molto da ricercare negli atteggiamenti maschili. L’autore, in una continua sequenza di scene e ragionamenti, contrappone il maschile e il femminile in una lotta fatta d’incomprensioni. Utilizzando la storia del romanzo, sembra che Nicosia volesse dire tanto, sia del maschile che del femminile. Osservando gli atteggiamenti di entrambi i sessi è come se volesse suggerire una via maestra che porti alla riflessione per eliminare quei tralicci che generano tensione nei rapporti. Oltre alla forte storia di Assunta, si trova molto nell’atteggiamento e nell’animo dell’uomo, si riscontrano le sue debolezze e molto spesso anche la sua vigliaccheria: “Tutte frasi di circostanza, scritte così, per modo di dire, signor giudice”.

Adriano Nicosia ha il dono di saper rendere originale e avvincente ogni storia.

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