“Miss Marx”: lettera aperta ad Alberto Barbera e a Susanna Nicchiarelli

Il film racconta con poco pathos e ritmo la vita della figlia "più coraggiosa" di Karl, Eleanor detta Tussy

Un film di Susanna Nicchiarelli. Con Romola Garai, Patrick Kennedy, John Gordon Sinclair,  Felicity Montagu, Karina Fernandez. Drammatico, 107′. Italia 2020

Eleanor detta Tussy è “la più coraggiosa” delle tre figlie del filosofo e teorico politico tedesco Karl Marx. È lei che ne porta avanti l’eredità, anche perché una sorella, Jenny, è morta poco prima del padre, e l’altra, Laura, si è trasferita in Francia. Ma sono soprattutto l’intelligenza e l’indole combattiva di Eleanor a fare di lei la persona più adatta a tenere viva la fiamma del pensiero paterno. Dunque è lei a battersi per i diritti dei lavoratori, le pari opportunità nell’ambito dell’istruzione e il suffragio universale, nonché contro il lavoro minorile. Ma nella vita privata Eleanor non è così lucida e determinata: il suo compagno di vita, Edward, è infatti uno spendaccione fedifrago di cui lei non sa liberarsi…

 

Gentile direttore Alberto Barbera, sapevo che dal primo giorno della Mostra del cinema era in attesa di mie notizie. Non volevo farla attendere oltre. “Grazie” a “Miss Marx” ho la possibilità di scriverle questa lettera aperta.

Mi dispiace, direttore, ma a mio avviso il film diretto da Susanna Nicchiarelli non è all’altezza del concorso principale di Venezia, troppo lento, monocorde, privo di pathos. Già il titolo, per me, è fuorviante. Sarebbe stato più adatto: “Il paradosso di chiamarsi Marx” o “La legge del contrappasso di Miss Marx”.

La vita della protagonista, Eleanor detta Tussy, viene infatti condizionata dal peso del cognome che porta e dal ricordo del padre. Una volta morto lui, sarà lei a continuare con passione e ardore le sue battaglie socialiste, sfidando la società maschilista.

Progressista, testarda e battagliera nella vita pubblica, Miss Marx fu in realtà molto infelice e sottomessa nel privato – il suo compagno, Edward, era infatti un traditore seriale e uno spendaccione di cui lei non riusciva a liberarsi.

Il film della Nicchiarelli, insomma, racconta una femminista battagliera e una casalinga disperata. Ma nonostante l’indubbia attenzione per la ricostruzione storica, l’eleganza delle ambientazioni e la ricercatezza dei costumi, la storia si risolve in un melodramma poco incisivo e dispersivo.

Caro direttore, gentile Susanna, c’erano tanti modi per raccontare questa storia poco conosciuta, una vita mai veramente vissuta ma passata a rappresentare nel modo più degno l’immagine della “figlia di”. Quello scelto si è rivelato quanto mai soporifero.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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