Miniserie | Rai 1 | C’era una volta Studio 1 |

C’è stato un tempo in cui la televisione è stata piccola, tenera, ingenua e goffa, prima di diventare la madre rassicurante e fedele di noi teledipendenti.

Ben lontani dal pluralismo odierno – tra canali digitali, pay-tv, streaming -, in principio c’era solamente la RAI, che aveva l’obbligo di rallegrare le serate degli italiani con contenuti che fossero anche educativi e culturali.

Mamma Rai, un po’ come tutte le mamme, era rigida, tradizionalista, bigotta persino, ma generosa con i suoi figli e nipoti al punto da promettere a molti un posto nel luccicante mondo di celluloide.

Erano i ruggenti anni ‘60, gli anni del boom economico, quando l’Italia si stava rialzando dal conflitto mondiale, gettando le basi per diventare il Paese moderno che è oggi.

Un’unica figlia per la mamma, Rai Uno, che da una parte aveva un carattere gioviale, aperto e curioso, dall’altra burbero, accigliato e tradizionalista.

La Rai degli anni ‘60 era il sogno di ogni artista, autore e regista; pur di lavorarci, all’epoca, si era anche disposti a non percepire alcun compenso.

I fan accaniti dei reality show e dei talent di oggi probabilmente non sanno neanche che cosa significhi la parola “varietà”. Il varietà del sabato sera è stato per decenni il programma più seguito dai telespettatori, un programma costruito per intrattenere, con canzoni, sketch e musica, quella parte di pubblico che non poteva permettersi di uscire.

Il 1961 è una data storica per il varietà targato Rai. È in quell’anno che vide la luce la trasmissione “Studio 1”, ideata, scritta e diretta da Antonello Falqui e Guido Sacerdote, trasmissione che avrebbe segnato una stagione televisiva e cambiato per sempre i gusti degli italiani.

Da sinistra, Giusy Buscemi, Alessandra Mastronardi, Diana Del Bufalo.

La mini serie “C’era una volta – Studio 1” è sì un modo per celebrare questo cult, ma come ha dichiarato il direttore di Rai Fiction Tinni Andreatta è anche un altro tassello del progetto della TV di Stato di raccontare il passato del nostro Paese e di far conoscere ai più giovani l’evoluzione che nel corso del Novecento ha attraversato la nostra società.

“L’intento creativo – ha precisato il regista Riccardo Donna – è stato quello di mettere in scena il backstage di quella trasmissione di successo, mostrando al pubblico non immagini in bianco e nero come di consueto, ma una storia emozionante, colorata”.

Dal punto di vista drammaturgico, va detto, niente di nuovo. Le origini di Studio 1 vengono mostrate attraverso le vite di tre ragazze, diverse per carattere e origine ma accomunate dal desiderio di lavorare in Rai e di essere protagoniste di questa rivoluzione mediatica e di costume.

Giulia (Alessandra Mastronardi) ha 25 anni, è orfana di entrambi i genitori e vive con gli zii. Sognatrice ma insicura, si sta per sposare con Andrea, un giovane ingegnere.

Rita (Diana Del Bufalo), 23enne tutto pepe, è figlia di una sartina e di un portiere, e sogna di diventare una cantante come Mina. Nasconde però un segreto: Luigino, un anno e grandi occhi nocciola.

Infine Elena (Giusy Buscemi), 25 anni, è una splendida ballerina, fidanzata con un ragazzo dell’alta borghesia. Il suo obiettivo non è incontrare qualche stella, ma diventarlo. E la sua bellezza è un’arma capace di aprirle qualsiasi porta.

Le tre si ritrovano tutte in Rai: Giulia come addetta al servizio opinioni, Rita come sarta, Elena come membro del corpo di ballo.

La mini serie ha un impianto narrativo molto classico, lineare, in qualche modo prevedibile, ma nel complesso si lascia guardare.

Tra le tre giovani interpreti spicca, a nostro avviso, Giusy Buscemi che sembra ricordare con la sua performance la Miriam Leone di “1992”, disposta a tutto pur di arrivare al successo.

Alessandra Mastronardi, udite udite, ha ancora una volta il ruolo della fidanzatina d’Italia. Dopo dieci anni di questa minestra, da Eva nei “Cesaroni” in avanti, il pubblico avrebbe forse voglia di cambiare menu.

Diana Del Bufalo è brillante, ha personalità e una discreta presenza scenica, ma sul piano recitativo è ancora un po’ acerba. Da tenere d’occhio per il futuro, magari in ruoli più da show girl.

La regia di Riccardo Donna è esperta, asciutta, puntuale, senza particolari picchi artistici, ma ha il merito di costruire un prodotto dignitoso e che in parte desta curiosità e interesse.

Mamma Tv oggi offre ogni sera svariate possibilità per trascorrere una serata in sua compagnia, ma le nuove generazioni farebbero bene a dare una mezza occhiata a questa mini serie. Non tanto per l’eccelsa qualità quanto per scoprire come si è arrivati al presente, e cosa ha significato il varietà per l’Italia.





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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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