L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Murakami Haruki

di Eleonora Savona

 

Vi considerereste responsabili per azioni commesse nella dimensione onirica? E se queste azioni avessero delle ripercussioni nella realtà “oggettiva”?

L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio” è un romanzo di formazione di Haruki Murakami, pubblicato in Italia da Einaudi nel 2014.

Il giovane Tsukuru è un ragazzo introverso, solitario, che si relaziona con il mondo portandosi dentro il peso dell’abbandono. Durante l’adolescenza, infatti, è stato escluso dal suo gruppo di amici, senza che gli sia stata data alcuna spiegazione.

In quel gruppo l’incolore Tsukuru – incolore, perché i nomi di tutti i componenti contenevano un colore, tranne il suo – aveva trovato il suo equilibrio, una stabilità affettiva che gli è stata strappata via improvvisamente.

Il non sapere il perché di quel gesto, il vedersi continuamente negare un confronto, l’instabilità improvvisa hanno generato in lui un senso di inadeguatezza, che si è trasformato in un progressivo isolamento e chiusura in se stesso. La sofferenza lo ha portato a uno stato depressivo simile all’annullamento totale, per poi spingerlo fuori, da adulto, con maggiore forza, ma altrettanta malinconia.

Con questo fardello Tsukuru si relaziona con la realtà lavorativa, sentimentale, sociale. Da adulto instaura solamente un’amicizia e diverse relazioni sentimentali, in cui si ripropongono gli stessi schemi a lui noti, fino a che non incontra Sara, determinante nella decisione di affrontare il suo passato e scoprire la causa dell’abbandono dei suoi amici di infanzia.

“L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio” è un romanzo delicato, dolce, ma brutale nella sua intensità. Come in ogni suo lavoro, Murakami gioca con diverse realtà, e a queste si aggiunge la dimensione del passato che si sviluppa come una vera e propria realtà parallela in cui “ciò che è stato” si fonde con “ciò che sarebbe potuto essere”, in un alternarsi di prospettive che tiene sempre alta l’attenzione del lettore.

Il viaggio che il protagonista decide di intraprendere lo porterà a relazionarsi con differenti dimensioni, in cui ciò che non è lecito può essere tranquillamente – e finalmente – ciò che vogliamo. Nell’immaginario che sfugge al nostro controllo, come quello onirico ad esempio, possiamo permetterci qualsiasi genere di pensiero, e renderlo azione: sollevati dall’assenza di giudizio, di conseguenze, le nostre ombre e i lati di noi che teniamo più nascosti agiscono indisturbati.

Ma se di queste azioni rimanesse traccia nella realtà, nella nostra, come potremmo relazionarci con le conseguenze? Ne saremmo consapevoli? Potremmo considerarcene pienamente responsabili?

Ed è proprio con le conseguenze che Tsukuru deve avere a che fare, seguirne le tracce, scovarle, accettarle, prendere coscienza di “ciò che sarebbe potuto essere” e lasciarle andare per poter giungere a una riconciliazione emotiva con se stesso.

Nel libro si riconoscono gli elementi tipici dei mondi di Murakami – il confronto con la solitudine, la complessità dei sentimenti, la necessità di evadere da una sola, limitata e limitante realtà –, e tipica è anche la stretta allo stomaco che rimane a lettura ultimata.

Il tema dell’abbandono viene sviscerato in ogni suo aspetto, visto non solo come separazione da qualcuno o da se stessi, ma anche come lasciarsi andare, naufragare nel mare dell’ignoto.

La lettura di questo romanzo lascia comunque l’amaro in bocca, un senso di incompletezza che risuona nelle orecchie del lettore quasi come un invito a intraprendere un proprio personale viaggio di riconciliazione.





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