“La linea verticale”: la Rai innova la serie tv – e sfida Netflix?

Quando anche un tumore può far sorridere. Otto puntate in onda su Rai 3 a partire dal 13 gennaio

Una serie scritta e diretta da Mattia Torre. Con Valerio Mastandrea, Greta Scarano, Giorgio Tirabassi, Gianfelice Imparato, Babak Karimi, Massimo Wertmuller, Barbara Ronchi, Alvia Reale, Antonio Catania, Ninni Bruschetta, Paolo Calabrese. Commedia. Italia, 2018

 

Ci lamentiamo tanto del lavoro, della famiglia, degli amici, della società. Ci riteniamo indispensabili, unici, indistruttibili, ma poi è sufficiente una parolina di sei lettere per minare ogni nostra certezza. La parola in questione è cancro.

Tendiamo a scandire la nostra vita con tutta una serie di “prima” e di “dopo” – prima di sposarti, prima di perdere il lavoro, dopo la nascita di nostro figlio – ma quando Luigi, quarantenne padre di famiglia, si sente diagnosticare un tumore al rene con annesso consiglio di ricovero immediato in clinica per l’asportazione, si rende conto che vivere il presente è la vera sfida. E sopravvivere all’ospedale pubblico.

“La linea verticale” è una mini serie in otto episodi (ogni puntata da 25′) scritta e diretta da Mattia Torre, nata da un’esperienza autobiografica del regista. Nel cast un maiuscolo Valerio Mastandrea, Greta Scarano, Giorgio Tirabassi, Gianfelice Imparato, Babak Karim.

Debutto televisivo sabato 13 gennaio su Rai 3, per questo prodotto coraggioso, innovativo e sperimentale. Su Rai Play, invece, gli episodi sono già tutti disponibili da una settimana circa. Dopo il successo di “Non uccidere 2” e il costante aumento degli utenti registrati sulla piattaforma, i dirigenti di Viale Mazzini hanno deciso di continuare su questa strada di stampo americano (Netflix docet).

Pensata in origine da Torre come opera teatrale, “La linea verticale” è una storia con notevoli potenzialità narrative ed emozionali. Alcune considerazioni, in vista della messa in onda tradizionale.

La prima è di natura personale. Vent’anni fa ho vissuto un’esperienza analoga a quella del protagonista con mio padre, ed ho quindi avvertito l’autenticità e la sincerità della serie, ben rappresentate, nel primo episodio, dal colloquio quasi surreale tra il neo specializzando e Luigi.

Antonio Catania in una scena della serie tv “La linea verticale”.

Valerio Mastandrea dimostra ancora una volta talento, poliedricità e sensibilità, calandosi pienamente nel ruolo, interpretando con le espressioni e i silenzi lo smarrimento e la paura di un uomo investito da una sorta di tsunami, che teme per la sua vita ma anche per l’impatto che questa notizia avrà sulla sua famiglia.

La seconda considerazione è di natura drammaturgica. Mattia Torre mette nella sceneggiatura il suo vissuto, evitando di cedere a inutili derive retoriche o melense.

Siamo abituati da anni ad appassionarci ai medical drama (E.R, Dr House, Grey Anatomy), ma “La linea verticale” è qualcosa di diverso, di più intimo, italiano ma allo stesso tempo universale. La paura della morte, l’ansia del ricovero in ospedale, la preoccupazione di sottoporsi a un intervento chirurgico sono emozioni che chiunque proverebbe, al posto del protagonista.

Alvia Reale e Babak Karimi in una scena della serie tv “La linea verticale”

Come dice giustamente la voce narrante – lo stesso Mastandrea -: “A differenza del carcere e del manicomio, in ospedale ci si va di propria volontà perché malati e desiderosi di guarire”.

Proprio la struttura ospedaliera riveste un ruolo importante, nella serie, sorta di microcosmo dove ognuno ha un ruolo, medico oppure paziente. E questo ci porta alla terza considerazione. “La linea verticale” è interessante perché racconta la sanità dal punto di vista di un paziente, che si confronta con altri malati, con infermieri irascibili e dottori eccentrici.

Tutt’altro che una critica al sistema italiano, la serie si propone semmai di far scoprire al pubblico, scettico, l’esistenza anche di piccole oasi felici e di reparti e centri di eccellenza all’interno dei nostri ospedali pubblici. Insomma, non c’è solo la mala sanità, in Italia!

In un armonioso e convincente alternarsi di commedia, dramma, teatro dell’assurdo, con un cast di primissimo livello, la serie merita sicuramente una visione. E alla fine, chissà che non vi sentirete di dire con ancor maggiore convinzione: la salute prima di tutto!

 

 

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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