La caccia. Firebird, Claudia Gray

Marguerite Caine è cresciuta respirando intorno a sé le teorie scientifiche più all’avanguardia. I suoi genitori, infatti, sono due famosi scienziati che sono riusciti a realizzare la macchina più stupefacente di tutti i tempi: il Firebird. Si tratta di un congegno che permette di viaggiare in dimensioni parallele, basandosi sulla teoria che esistono infiniti universi, che sono poi quelli delle possibilità. Ciò che non è stato in questo mondo si è certamente realizzato in uno degli altri. Il padre di Marguerite, però, è misteriosamente scomparso. Sembra che a ucciderlo sia stato Paul, uno degli assistenti, che è poi fuggito impunito in un’altra dimensione, portando via con sé tutti i dati relativi al Firebird. Marguerite si lancia alla ricerca del padre e grazie a Theo, uno studente di fisica che l’aiuta nell’impresa, riesce a ingaggiare una caccia all’uomo pluri-dimensionale, tra una Londra del futuro, una Russia ai tempi dello Zar e un mondo sottomarino… Le vite sono mille. Mille le possibilità. Ma il destino è uno soltanto.

Firebird. La caccia, Claudia Gray

Ammetto che su questo romanzo distopico/fantascientifico ho idee e pareri contrastanti. Se da un lato infatti l’idea di base mi è sembrata buona e promettente (infinite dimensioni raggiungibili grazie a un congegno meccanico significano infinite possibili avventure e questo non è un male), dall’altra i protagonisti – soprattutto Marguerite – hanno rischiato a più riprese di farmi cadere le braccia e abbandonare la lettura.

Partiamo dall’inizio. Con il proliferare di romanzi young adult a cui stiamo assistendo negli ultimi anni – sull’onda del successo ottenuto dai vari Hunger Games, Divergent e via discorrendo – produrre qualcosa che sia davvero nuovo e davvero unico è sempre più complicato. Di giovani, molto spesso di sesso femminile, impegnate a salvare un mondo che è una derivazione del nostro, in cui possiamo riconoscere qualcosa ma non proprio tutto, i lettori ne hanno viste a decine. Di società deviate, dove un principio tutto sommato buono viene applicato in malo modo finendo per trasformare il tutto in una dittatura o quasi, pure.

Per questo a Claudia Gray non si può non riconoscere, almeno, il merito di aver scritto un romanzo particolare, di aver pensato una trama che si discosta dai precedenti grazie a delle intuizioni a loro modo geniali, pur riproponendo comunque alcuni degli elementi cardine del genere.

Anche in “Firebird, La caccia” abbiamo la giovane eroina di solidi principi che combatte contro un nemico cinico e senza scrupoli, rappresentato questa volta da una società che vuole utilizzare la nuova tecnologia del viaggio tra dimensioni per fini tutt’altro che nobili. Anche in “Firebird” abbiamo buoni e cattivi contrapposti, e l’immancabile triangolo amoroso.

Eppure qui l’idea di fondo – il viaggio, per l’appunto – è talmente promettente e intrigante che basta più o meno da sola a farci dimenticare che, tutto sommato, lo schema della trama lo abbiamo già visto circa un milione di volte.

I mondi che Marguerite visita nella sua ricerca dell’uccisore del padre prima, della verità dopo sono una magnifica invenzione. Perché permettono all’autrice di spaziare, di dare sfogo alla propria creatività a 360°. Le realtà in cui può portare il Firebird sono parallele, quindi esistono tutte qui e adesso, non indietro o avanti nel tempo, ma questo non significa che debbano necessariamente essere uguali alla nostra. Tutt’altro. Così i personaggi passano da una Londra ultratecnologica alla Russia zarista, per finire poi in un mondo quasi subacqueo. E questo è bello, per chi legge. Procedendo con la storia si ha modo di stupirsi per le novità, e di interrogarsi sul passato. Comunque non ci si annoia.

Questo è il lato positivo della storia. Il lato negativo, almeno secondo me, è la protagonista. Mi spiego. Marguerite ci viene presentata come la “pecora nera” della famiglia, definizione intesa in senso non negativo. I genitori, la sorella, gli assistenti sono tutti impegnati nel campo delle scienze, mentre lei è un’artista, pensa in modo differente, ha interessi differenti. All’inizio questa 18enne distrutta dal dolore e pronta a partire per una missione pericolosa e senza certezza di riuscita ci piace. Poi viene fuori la sua parte adolescenziale/romantica/innamorata… ed è la fine!

Mi è già capitato in passato (lo ammetto, leggendo “Uno splendido disastro” della McGuire) di non riuscire proprio non dico a immedesimarsi in un personaggio e nei suoi sentimenti ma neppure a capirli. Di nuovo non so se si tratti di un problema di età oppure di prospettiva miei – della serie che sono troppo lontana da certi sfarfallamenti emotivi, per poter cogliere e comprendere quelli altrui – oppure se proprio il personaggio è costruito in modo troppo esagerato e quindi il mio pensiero risulti condivisibile anche da chi, questi sfarfallamenti, li conosce fin troppo bene. Fatto sta che la Marguerite innamorata di Paul, pronta a morire per lui e capace di lasciarsi andare a dichiarazioni esagerate e strappalacrime proprio non mi ha convinta. Possibile che una ragazza di 18anni ami così tanto, in così poco tempo? Sembrava di trovarsi davanti a Romeo e Giulietta, altro che romanzo distopico e giovane.

Se gli young adult ci hanno lasciato qualcosa – mi hanno, nello specifico – sono soprattutto una serie di protagoniste che hanno sdoganato il classico tema della damigella in difficoltà che ha bisogno dell’aiuto del belloccio di turno per salvarsi. Le eroine 2.0 – da Hermione Granger a Katniss Everdeen e Tris Prior – sono persone che sanno cavarsela, come se non meglio degli uomini, che mostrano al mondo un lato forte e indipendente. Le nuove eroine non piangono sul latte versato ma trovano un modo per risolvere i problemi. Ecco, io Marguerite Caine, con tutta la buona volontà, proprio non me la sento di metterla sullo stesso piano di cotante antenate. Perché con lei, per una volta, si torna davvero tanto a percepire la differenza di genere, il fatto che ragazze e ragazzi sono fatte di paste diverse (e sinceramente di questo avremmo fatto volentieri a meno!).

Problemi di prospettiva a parte, la lettura è stata tutto sommato piacevole e sono curiosa di vedere come l’autrice deciderà di sviluppare le buone premesse, almeno di ambientazione e inquadramento. Perché si può stare certi che un seguito – e forse non solo uno – ci sarà.


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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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