Intervista all’attrice Caterina Gramaglia

Caterina Gramaglia, autoscattoUna formazione teatrale di tutto rispetto, svolta prima alla scuola internazionale “Circo a vapore”, poi con Elizabeth Kemp dell’Actor’s Studio di New York, e Ilza Prestinari. Caterina Gramaglia porta con sé già un notevole bagaglio di esperienze, proiettandosi verso il futuro con sarcasmo e voglia di fare.

Dalla radio, dove ha debuttato con “Teatro-giornale”, alla televisione senza dimenticare il cinema e il teatro, non ci sono limiti per questa attrice e performer. Conosciamola meglio in questa intervista esclusiva.

 

Attrice, autrice, produttrice di se stessa, poliedricità e creatività sono un po’ i tuoi marchi di fabbrica. Ma Caterina come descriverebbe l’artista Gramaglia?
Accipicchia, non lo so… Nel senso, questo sdoppiamento alla Frida Khalo è interessante, del resto mi sento un po’ sdoppiata, spesso parlo da sola, purtroppo adesso sto iniziando anche a farlo in pubblico, ma del resto io dico sempre che ringrazio Franco Basaglia che chiuse i manicomi. Sono cresciuta in larga parte a Volterra, dove c’era uno dei più grandi manicomi italiani, forse qualche gene sparso di qualche “matterello” chi lo sa. Tornando alla descrizione della Gramaglia, che dire, io, se dovessi osservarla, vedrei fisicamente due me (e siamo a un totale di  tre, Caterina e due Gramaglia, la faccenda si complica): una bambina piena di energia e un’altra me, più vecchia anche più stanca. La cosa che posso dire che sono un’entusiasta, un’appassionata, un’innamorata.

Come e quando è nata in te la passione per la recitazione? E, pensando agli inizi, hai dovuto lavorare tanto prima di ottenere dei risultati oppure hai avuto la fortuna di essere notata da qualcuno del settore e le cose sono poi andate avanti da sé?
Allora, i miei primi “momenti privati” – come li chiamava Strasberg – sono avvenuti sulla terrazza di casa dei miei meravigliosi nonni a Volterra, una terrazza che si affaccia sulla campagna toscana. D’estate, dopo cena, al tramonto, mi esibivo da sola – per via della mia timidezza non mi sarei mai esibita davanti ai miei nonni! -, ma d’altra parte per me esisteva un’audience immaginaria, e davanti a questo “pubblico” recitavo e cantavo. Lì ho scoperto la mia passione. Rispetto alla seconda domanda non sono, posso dirlo con certezza, una che ha avuto particolare fortuna in questo lavoro, nel senso che non sono mai andata in discesa. All’inizio mi è stato difficile fare i provini perché mi intimidivo, mi scattavano emotività e ansia e non riuscivo proprio a stare tranquilla.

Calcare il palcoscenico o recitare in un film sono un po’ il sogno di giovani e meno giovani. Ma come si diventa, in pratica, attori?
Mah, per diventarlo si dovrebbe intanto studiare e non improvvisarsi, come molte volte accade; studiare sodo come si studia per altri mestieri. Naturalmente il talento è necessario, però ci sono dei casi di persone con meno talento ma con molta determinazione e disciplina che riescono più di persone che hanno talento ma sono anche indisciplinate e pigre. Quello dello studio sarebbe già un buon modo di cominciare.

Artisticamente ti sei formata in importanti scuole all’estero. Per sperare di diventare Attori con la A maiuscola, secondo te, è necessario lasciare l’Italia? O anche nel nostro paese è possibile seguire un percorso che porti dei frutti?
Dunque, la realtà culturale, politica e sociale italiana si è davvero tanto impoverita negli ultimi, diciamo, 30 anni. La mia generazione sta faticando molto per vivere, ma molti sopravvivono soltanto. L’ignoranza attualmente colpisce tutto, ed è secondo me uno dei mali del mondo. Tornando al mestiere dell’attore, in Italia è praticamente impossibile farlo in maniera normale, non c’è tutela, non c’è meritocrazia. Se si decide di farlo bisogna, nella maggior parte dei casi, avere una situazione economica solida alle spalle, o molta, molta forza di volontà. Ecco, la forza di volontà è fondamentale, come avere un pensiero alla Tonino Guerra – “L’ottimismo è il profumo della vita!” .  Grande sceneggiatore, poeta, nonostante abbia vissuto la guerra (fu anche deportato in Germania) ha vissuto un’Italia più dura, drammatica, che ha reso però quelli della sua generazione più forti, più combattivi, più poetici, meno volgari. Una cosa da riconoscere a quelli che sono, per la mia generazione, i nonni è la loro tempra, una grande forza di volontà, un grande spirito di adattamento, un coraggio e una disciplina che noi un po’ viziati abbiamo perso. Si è persa la curiosità e la capacità di stupirci. Dico questo perché il “costume sociale” influenza l’arte, perché l’artista vive di quello che respira, traduce ciò che respira, vede e vive. Nonostante tutto, penso che non si debba fuggire da questo paese, e se si sceglie di stare si dovrebbe “Resistere e recuperare”. Il lavoro dei giovani di oggi è quello di resistere e recuperare, la storia, la memoria, e andare avanti. Certo non è facile, anche io spesso mi sveglio con la tentazione di fuggire, di dire basta, un po’ come quelle frasi di Osho virali sul web – avete presente l’immagine di Osho, sdraiato, che pensa “Sarebbe da accannà tutto e aprirsi un chiostro in Costarica”. La tentazione… tenta. Tuttavia ci sono tantissime realtà straordinarie nei piccoli teatri, realtà di artisti che investono, che si impegnano a recuperare, a diffondere, a comunicare. Si dovrebbe investire su queste realtà.

Sul tuo profilo Facebook ti capita spesso di postare dei video che si muovono tra il comico e surreale. Di recente hai reso omaggio con uno spettacolo a Giulietta Masina. Definirti un’attrice di stampo “felliniano” è un po’ azzardato? E quali sono i modelli, in campo teatrale ma non solo, a cui ti ispiri e a cui ti senti più affine?
Io amo Federico Fellini, e amo ancora di più Giulietta Masina – i suoi occhi mi hanno fatto sognare, mi hanno commossa, mi hanno rapita, trasportata in un altro mondo. “La strada” è il film che più mi ha colpito nella mia vita. L’anno scorso erano 20 anni dalla morte della Masina, e questo spettacolo, “Le Lacrime di Giulietta”, è nato proprio come omaggio a una grande attrice, per me angelo, guida, ispirazione. Poi ci sono tanti artisti, anche amici, che nel presente sono per me ispirazioni, luci, stelle. Un’altra attrice poliedrica, geniale, straordinaria che ho sempre ammirato è Anna Marchesini. Una donna di grande intelligenza e forza, un’artista incredibile. Altre attrici che sono di grande ispirazione per me sono le grandi Giulia Lazzarini, Maria Paiato e quella che fu Paola Borboni, mai molto conosciuta però di grande temperamento – la sua forza-collera mi ha sempre fatto sorridere, ogni tanto mi guardo delle vecchie interviste degli anni 70/80. Quest’anno, tra parentesi, ricorrono i 20 anni dalla morte di questo grande pilastro del teatro italiano.

A livello di gratificazione, meglio il caloroso applauso del Sistina dopo una performance teatrale oppure la soddisfazione di rivedere una serie televisiva a cui si è lavorato, e soprattutto di vederla apprezzata dal pubblico?
Sono cose diverse. In teatro, con il pubblico a due passi, non si è mai soli, e va detto che una parte dello spettacolo, anche inconsapevolmente, lo fa proprio il pubblico.

Dall’alto della tua esperienza, che consigli ti sentiresti di dare a chi sogna di fare l’attore nel nostro paese? 
Piuttosto che dall’alto preferirei dire dal piano – dall’alto, se non si sta in equilibrio, si può sempre cadere. Io credo che le cose più importanti siano la passione e il cuore, oltre al talento, naturalmente. Poi ognuno ha il suo percorso.

C’è un ruolo specifico che sogni di interpretare?
Interpretare, o meglio rendere omaggio, a Giulietta Masina anche attraverso Gelsomina de “La Strada” è stato ed è un sogno per me.  Mi piacerebbe anche interpretare Blanche Dubois di “Un tram che si chiama desiderio” di Tenessee Williams. E poi naturalmente ci sono molti altri personaggi.

Si legge e si sente spesso dire che il teatro è per anziani, eppure basta girare qualche teatro minore per conoscere e apprezzare tanti talenti. E’ il pubblico a essere pigro oppure i produttori hanno dimenticato cosa significhi essere imprenditori e quindi correre rischi?
Non esistono più reali produttori, non ci sono soldi, la cultura ha perso mordente e potere di attrazione. Nei “teatri istituzionali” ci sono gli abbonati, per lo più persone anziane, i “diversamente giovani”, abituati ad andare a teatro da sempre. Penso che più che essere il teatro fatto per persone “diversamente giovani”, c’è il fatto che sono solo queste persone che si muovono e vanno a vedere gli spettacoli. Generalmente l’abbonato va nel teatro di quartiere. I teatri off, che non hanno gli abbonati, hanno i capitati, gli amici, o forse anche nessuno – questo è il dramma. Teatro istituzionale e teatro off non hanno nulla in comune, se non il nome teatro. Le due realtà non si incrociano. Ma spesso, sempre più spesso, si vedono spettacoli off molto più belli di quelli proposti nei teatri istituzionali. Il fermento e il talento c’è, ma è non supportato e spesso è nascosto.

Progetti futuri?
Ho dei progetti, sì, ma ancora non dico niente. Unica cosa che posso anticipare è che sto organizzando un evento-spettacolo per sostenere il Nepal.

Come ti vedi, diciamo, tra cinque anni? 
Non saprei. Sicuramente più vecchia di 5 anni.

Grazie per esserti raccontata sul nostro sito e ovviamente ti facciamo un grande in bocca al lupo per la tua carriera. Vuoi aggiungere qualcosa?
Grazie a voi! Adesso è l’ora della merenda, vado a preparare all’altra me del pane con la Nutella.


 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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