Alice Di Stefano: vita da editor, tra libri, autori e promozione

Come si arriva a lavorare nel mondo dell'editoria in Italia? Ne abbiamo parlato con la editor Fazi

Dopo la laurea, il dottorato, l’assegno di ricerca – oltre a un breve periodo come giornalista sportiva, diverse pubblicazioni scientifiche e numerose comparsate al cinema – Alice Di Stefano ha insegnato Letteratura italiana all’università.

Poi, conquistata dal mondo dell’editoria, ha iniziato a cimentarsi come editor alla Fazi, dove lavora dal 2008 occupandosi di narrativa italiana.

Nel 2012 ha dato vita a “Le Meraviglie”, una collana dedicata alla narrativa umoristica. Nel 2013 ha pubblicato “Publisher“, biografia romanzata di suo marito, l’editore Elido Fazi.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con la vulcanica Alice, parlando delle sue esperienze presenti e passate, di libri da leggere e molto altro.

 

Nome: Alice Di Stefano.

Professione: Editor.

Segni particolari: Come persona, gentile (mi auguro) e ritardataria. Se invece parliamo dell’Alice editor direi inflessibile.

 

Rompiamo il ghiaccio con una domanda tecnica, che i nostri lettori ci fanno spesso. Come si diventa editor in Italia?

In tanti modi, anche se ormai da anni ci sono specifici corsi di laurea e master in Editoria da cui sicuramente provengono alcuni degli editor più giovani. Nella maggioranza dei casi, questa figura continua a trovarsi tra i laureati in Lettere o materie affini. La laurea in materie umanistiche non è essenziale ma, secondo me, è preferibile.

E qual è stato il tuo percorso? Com’è che dopo la laurea, un dottorato, un assegno di ricerca sei approdata nel mondo dell’editoria?

Il mio percorso è stato un po’ particolare. Ormai è cosa nota, per cui voglio riassumerlo così: la mia carriera accademica languiva per mancanza di concorsi quando io, smaniosa di pubblicare un libro su Moravia, conobbi l’editore Fazi. Nacque prima l’amore e poi una prova di editing – mai il fantomatico libro su Moravia. L’esperimento andò a buon fine e da lì, dopo un progressivo avvicinamento – per anni ho cercato di portare avanti sia il lavoro all’università sia quello in casa editrice -, passai definitivamente all’editoria.

Oggi di editor si sente spesso parlare, ma questa figura è come una sorta di unicorno – tutti sanno che esiste, nessuno sa di preciso che cosa faccia. Ci chiarisci le idee? Come si svolge la giornata tipica dell’editor?

Si tratta essenzialmente di leggere “manoscritti” inediti, rileggere, e, una volta scelto un libro, cercare di far riflettere l’autore su eventuali passaggi da perfezionare nel testo (snodi non perfettamente riusciti, credibilità dei personaggi, incongruenze a livello strutturale): è il cosiddetto macro editing. Poi rivedere e magari correggere lo scritto da un punto di vista formale (frasi troppo lunghe o troppo contorte, espressioni troppo azzardate, metafore non proprio calzanti): è il cosiddetto micro editing che prelude al lavoro redazionale vero e proprio.

In più, si tratta di rispondere alle (moltissime) mail e in generale intrattenere i rapporti con autori e futuri autori. La parte “commerciale”, però, è la più delicata: l’editor deve capire come poter vendere un libro, al di là delle sue qualità letterarie, e a tal fine porre la sua creatività al servizio della comunicazione. Questo lavoro presuppone la capacità di intuire le potenzialità di un testo, a volte assecondando il mercato, a volte intercettando le mode a venire. Inoltre, c’è la stesura (o, in alternativa, la supervisione) dei testi di contorno che completano il libro in vista della stampa. L’editor, infine, dovrebbe preoccuparsi anche del lancio del libro, collaborando con l’ufficio stampa e partecipando in maniera attiva alla sua diffusione.

La editor Fazi Alice Di Stefano.

Dal 2008 ricopri questo ruolo per Fazi Editore. Un progetto a cui hai lavorato che ti è rimasto particolarmente impresso?

Sicuramente il libro di Cesarina Vighy, “L’ultima estate”, vincitore del Premio Campiello opera prima e finalista allo Strega nel 2009. Ma anche qui la storia è conosciuta e non vorrei dilungarmi troppo. A parte questo libro, che mi ha coinvolta personalmente oltre ogni limite, molta soddisfazione mi hanno dato alcuni autori che col tempo si sono saputi guadagnare la stima del pubblico collezionando recensioni, premi e riconoscimenti, come ad esempio Matteo Cellini, altro Premio Campiello-opera prima nel 2013. Attenzione da cinema e tv e un seguito di lettori affezionati e veri e propri fan hanno avuto invece scrittori a me particolarmente cari come Giovanni Ricciardi, ideatore della serie gialla con protagonista il commissario Ponzetti, Giovanna Zucca, autrice capace di spaziare dall’opera letteraria a quella di puro intrattenimento con la stessa allegria e straordinaria capacità di immedesimazione, e Francesco Muzzopappa, dallo stile inconfondibile, elegante e ricercato nonché esilarante, che ha contribuito a far conoscere la collana Le Meraviglie dedicata espressamente alla narrativa umoristica.

E un autore che hai conosciuto che hai trovato più interessante di persona che dallo scritto?

Questo è difficile, perché in genere viene prima lo scritto e poi lo scrittore. Capita più di frequente il contrario: di trovare “deludente” e poco simpatico un autore molto valido dal punto di vista letterario. In questo caso diventa tutto un problema di comunicazione che riguarda più che altro lo scrittore che deve districarsi tra presentazioni e rapporti con i lettori. Oggi un autore affabile, disponibile e “social” è fondamentale.

Come accennavi prima, nel 2012 sono nate Le Meraviglie, una collana dedicata alla narrativa umoristica. Di ridere abbiamo quanto mai bisogno, vista la situazione contemporanea. Il detto “una risata vi seppellirà” pensi sia valido ancora oggi?

Senz’altro. Io credo molto nel potere taumaturgico della risata, e così i miei autori, tutti indistintamente molto spiritosi e simpatici. L’ironia, del resto, è considerata da sempre una forma molto alta di intelligenza e scrivere per far ridere è un esercizio, anche stilistico, molto più difficile di quanto si creda.

Non solo editor, ma autrice di una biografia romanzata su tuo marito, l’editore Elido Fazi, “Publisher”. Com’è stato passare dall’altra parte della scrivania, essere per una volta quella che scrive e non solo quella che corregge?

Molto interessante. Ho potuto vivere sulla mia pelle tutte le fasi che in genere attraversano gli autori, dalla scrittura del testo fino alla sua pubblicazione e oltre – la fase della promozione può davvero arrivare a distruggere una persona! Il fatto di lavorare nell’editoria non mi ha salvato dalla naturale presunzione che è tipica dell’esordiente né dal narcisismo di chi scrive col desiderio di piacere.

Hai affidato a qualcun altro l’editing del libro, vero?

Io ci ho provato a trovare un editor, credetemi, ma l’unico che si è offerto è stato mio marito, oggetto del libro stesso. Un cortocircuito che andava ben oltre il gioco di mise en abyme che pure avevo concepito. La verità è che nessuno in casa editrice ha avuto il coraggio di consigliarmi, se non in maniera leggera. Alla fine, solo Valentino Zeichen – poeta, amico carissimo nonché personaggio del libro a sua volta – ha cercato di farmi capire che certe cose andavano cambiate, pur autorizzando in generale la struttura del libro.

Si sente spesso dire che la cultura, in Italia, non paga e non dà nemmeno da mangiare. Tu come fai a pagare le bollette a fine mese?

Le bollette, lo ammetto, le paga mio marito, ma comunque è un editore e quindi siamo ancora nel campo della cultura.

L’Istat riporta che 6 italiani su 10 non hanno letto neppure un libro nel 2015, e che comunque anche tra i cosiddetti lettori pochi hanno superato quota tre libri letti. Alice Di Stefano noi la inseriamo di diritto nella categoria dei lettori forti. Perché pensi che nel nostro paese leggere non sia di moda?

Forse si fanno altre cose con più gusto – o almeno è quello che mi auguro io. Certo è che nei paesi freddi si legge di più e anche che, fino a pochi anni fa, l’analfabetismo in Italia era ancora assai diffuso. In generale, questi sono fenomeni che dipendono da fattori diversi, primo fra tutti la cultura intesa in senso ampio, non solo come lettura di libri.

Immaginiamo che chi di dovere venga da te chiedendoti un consiglio su come migliorare la situazione. Hai una ricetta vincente, per riavvicinare gli italiani, popolo di non lettori, ai libri?

Non parlandone troppo, forse. La retorica attorno ai libri e alla lettura secondo me scoraggia molti non-lettori che magari, presi in maniera diversa, potrebbero accostarsi spontaneamente all’argomento. Un fenomeno invece mi preoccupa: lo snobismo di massa per cui si condannano gli autori di best-seller, anche a prescindere dal loro valore, senza poi saper distinguere la buona narrativa da quella cattiva.

Te lo sentirai chiedere spesso, ma non possiamo trattenerci. Ci consigli qualche lettura?

I classici, intesi ovviamente come romanzi dell’Otto-Novecento: tutti gli inglesi, gran parte dei russi, molti francesi, alcuni (grandissimi) tedeschi e Manzoni. E poi la poesia del Novecento, soprattutto quella italiana. Infine, pur non essendo io molto esterofila, consiglio di leggere e rileggere alcuni scrittori americani contemporanei come Philip Roth, Jonathan Franzen, Elizabeth Strout oltre che autori controversi come Michel Houellebecq.

Hai alle spalle una bella carriera, e nell’editoria ci sembra che tu abbia trovato il tuo porto sicuro. Lavorativamente parlando, c’è qualcosa che ancora non hai fatto che ti piacerebbe provare?

Mille cose! Ad esempio, mi piacerebbe cimentarmi in un settore completamente diverso, occupandomi di marketing. Oppure darmi alla fotografia, come vorrebbe fare, credo, il 95% della popolazione mondiale. Lavorare senza avere mio marito nella stessa stanza potrebbe già essere un’idea ma… rimando il tentativo alla prossima vita.

Prima di lasciarci, che consigli ti sentiresti di dare ai giovani che sognano di lavorare nel mondo dell’editoria? Tre caratteristiche che, ai futuri editor, non possono mancare?

La prima delle caratteristiche richieste è senz’altro quella di essere dei lettori forti, curiosi di tutto e magari dotati di senso critico. L’intraprendenza e la velocità vengono subito dopo. E poi… amore per la lingua, precisione, cura dei dettagli: qualità e attitudini che, secondo me, sono utilissime in molti campi, non solo nell’editoria.

Grazie ad Alice Di Stefano per essere stata con noi.

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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