Intervista al regista Director Kobayashi

Lo diciamo, ormai, con amara rassegnazione: se i migliori cervelli del nostro Paese in diversi campi cercano fortuna all’estero è perché in Italia non trovano reali possibilità di dimostrare il proprio valore. E poi abbiamo un bel lamentarci, anche in campo cinematografico, che si vedono sempre le stesse facce e non esiste un vero ricambio generazionale.

Noi di Parole a Colori, però, crediamo nei giovani e siamo sempre alla ricerca di talenti da potervi presentare. E oggi, approfittando della Festa del Cinema di Roma, ho avuto l’opportunità, oltre che il piacere, di conoscere Director Kobayashi, giovane e creativo regista che ha presentato nella sezione “Alice nella città” il suo film “Solo per il week end” (prodotto da Director Kobayashi e Indiana Production)

Non fatevi ingannare dal nome: Director Kobayashi è italianissimo, di origini bresciane. E se in giro per il mondo è già una star, da noi il grande pubblico deve ancora scoprirlo.

Stefano Fresi, Alessandro Roja, Matilde Gioli, Francesca Inaudi. Solo per il weekend
Stefano Fresi, Alessandro Roja, Matilde Gioli, Francesca Inaudi. Solo per il weekend

Piace subito, Director Kobayashi, perché è un ragazzo sorridente e positivo. Ma quando serve entra subito in modalità intervistato con grande professionalità.

Director, intanto grazie per aver accettato il nostro invito. Iniziamo con una domanda che probabilmente le avranno già fatto in tanti: la scelta di questo pseudonimo è dovuta al fatto che il suo vero nome – Gianfranco Gaioni – non le permetteva di rimorchiare in discoteca oppure ha radici più profonde?

Si, il mio pseudonimo ha radici profonde. L’ho inventato nel 2007, quando mi sono dovuto trasferire a Londra perché in Italia non riuscivo a trovare sbocchi soddisfacenti come regista. In Inghilterra ho trovato lavoro come “2D compositor”, un ruolo specifico nel settore degli effetti visivi digitali, per la società di post-produzione Cinesite e ho sentito il bisogno di avere un nome alternativo per questa carriera. Ho partecipato a film come “Hellboy 2” e “La Bussola d’oro”. Per me tenere separato questo lavoro da quello di regista era fondamentale, non volevo creare confusione nei miei potenziali clienti. Poi, con il tempo, Director Kobayashi è diventato un brand. Ho fondato la mia casa di produzione con questo nome. Be’, ormai mi presento così a tutti.

Miglior pregio e peggior difetto.

Sono un impaziente, e lo considero allo stesso tempo un pregio e un difetto. Da una parte questa mia caratteristica è una sorta di stimolo, mi permette di creare sempre nuove cose e pormi nuovi obiettivi; dall’altra è una condanna, perché mi fa vivere in un perenne stato di irrequietezza. Io vorrei tutto e subito, e purtroppo questo non è quasi mai possibile.

È stato definito dalla critica di “Cult Frame”, Alicia M. Huberman, “uno dei più moderni autori commerciali del panorama mondiale”. Sarebbe disposto a girare un Cinepanettone?

No, non è proprio nelle mie corde. Al massimo, se me lo offrissero, farei una commedia di Natale.

Il suo curriculum è lunghissimo e ricco di collaborazioni con importanti aziende leader nel mondo, Toyota, Yamaha, Diesel. È anche considerato un maestro dell’animazione. Non avrà mica sbagliato epoca per nascere?

Più che epoca sbagliata direi che sono nato in un paese sbagliato. La mia carriera è nata più all’estero, dove ho fatto esperienza e ho potuto esprimermi in libertà, seguendo la mia idea di estetica. In Italia non c’è spazio per la creatività, si debba produrre uno spot oppure un film. Come capita da noi, anche all’estero c’è desiderio di esterofilia, così vengono chiamati registi stranieri. Sono richiesto molto, fortunatamente. Anche nel settore pubblicitario, però, la crisi si fa sentire, così il numero di spot prodotti è in calo. A investire nella pubblicità televisiva, ormai, sono soltanto pochi marchi internazionali.

Alessandro Roja. Solo per il weekend
Alessandro Roja. Solo per il weekend

Ha appena presentato alla Festa del cinema di Roma il suo primo film italiano, “Solo per il week end”, con un cast di tutto rispetto (tra gli altri Stefano Fresi, Alessandro Roja, Matilde Gioli, Francesca Inaudi). Le prime recensioni dei critici sono positive. Onestamente, meglio ricevere le cinque stelle di Mereghetti o sbancare al box office?

Personalmente preferirei le 5 stelle di Mereghetti. Questo è un film realizzato a basso a costo, che io considero come un “figlio”, avendolo ideato, scritto e prodotto. I finanziatori sono tutti italiani – la maggior parte lombardi, in particolare bresciani (tra parentesi uno è mio padre). Ho contattato successivamente Indiana, che dopo una lunga trattativa ha accettato di entrare nella produzione, rivelandosi importante soprattutto per la parte burocratica e organizzativa. È difficile da realizzare, in Italia, un film low budget, perché manca la cultura del fare. Se vuoi fare film in Italia devi muoverti, crearti dei canali; non puoi attendere l’aiuto esterno. Io, oltre al contributo creativo, ho messo in campo una macchina produttiva ed economica. A differenza di quello che si pensa, non è necessario avere tanti soldi per fare un film, conta saperli spendere bene. Ma le solo idee, purtroppo, da sole non sono sufficienti.

A Cannes, invece, si era presentato con il lungometraggio “Weightless”, prodotto anche quello a basso costo. È un po’ una sua abitudine, insomma. Ha poi trovato qualcuno che lo distribuisse?

No, purtroppo. Quello è stato un film a budget zero. È stato un esperimento, ma soprattutto è stato per me come frequentare una scuola di cinema. Ho potuto prendere confidenza con questo mondo e avvicinarmi alla Settima Arte, dopo anni di spot e animazione.

Il suo sito personale è in inglese. La lingua italiana le fa venire proprio l’orticaria?

No, per carità. La lingua inglese dipende dal fatto che la maggior parte dalla mia clientela per ora è straniera. Ma prometto che farò anche una versione italiana.

Un’opinione da chi ha sperimentato entrambi i piani. C’è davvero tutta questa differenza tra fare cinema in Italia e nel resto del mondo?

In verità le differenze sono piccole. La più netta è nella fase di progettazione e sviluppo. Gli americani investono molte risorse e tempo nella fase pre-produttiva e nella preparazione in modo che, al momento della produzione vera e propria, possano poi ottimizzare i costi. In Italia tutto ciò non avviene. Da questo punto di vista mi sento molto vicino all’idea di lavoro americana. Mi definirei “un cortese accentratore”, come diceva Kubrick: nei miei film non farei mai fare niente a nessuno. Fin dall’inizio della mia carriera mi sono comportato cosi. Se non trovo una persona valida e competente a cui delegare alcune responsabilità, preferisco gestirmele da solo.

Matilde Gioli, Stefano Chiodaroli. Solo per il weekend
Matilde Gioli, Stefano Chiodaroli. Solo per il weekend

Spot, animazione, cinema. A girare una serie tv ha mai pensato?

Sì, mi piacerebbe molto. Sto scrivendo da molto tempo con Giacomo Berdini (già co-sceneggiatore di “Solo per il week end”) la sceneggiatura per una serie televisiva di genere fantasy, pensata però per il mercato estero, soprattutto visti i costi di produzione.

Come regista ha già dimostrato ampiamente che rischiare non la spaventa. C’è una storia che ancora non ha raccontato e che le piacerebbe far conoscere al pubblico?

Più di una. Ho una grande passione per la fantascienza e il fantasy di carattere storico-epico. Spero di fare qualcosa del genere in futuro.

I nostri sono lettori discreti, quindi non deve aver troppo timore di sbilanciarsi. Secondo lei c’è un regista oggi davvero sopravalutato?

Non voglio eludere la vostra domanda, ma è dura affermarsi in questo mondo. Chi non ha mai fatto questo mestiere non può capire. Girare un film è impegnativo; chiunque lo faccia merita rispetto, secondo me.

Dall’alto della sua esperienza ma da un punto di vista giovane, quale consiglio pratico si sentirebbe di dare a un ragazzo italiano che sogna di fare il regista?

Di iniziare e di non stare seduti ad aspettare. Di non fermarsi ai muri che sono sempre lì, a ricordati che è dura. Agisci, non aspettare il contributo pubblico, non credere che tutto piova dall’alto. Sii artefice del tuo destino. Sono convinto che i nuovi registi arriveranno da Youtube, che questo canale sia la nuova frontiera creativa. L’innovazione viene dal web .

Progetti futuri?

Spero di continuare a fare cinema. Questo settore mi ha stregato. È difficile per tutti – i produttori italiani non rischiano, non hanno coraggio, le opportunità te le devi creare. Ma io spero di crearmene altre in futuro.

Grazie del tempo che ci ha dedicato e in bocca al lupo per tutto.

Crepi, e grazie a voi per l’ascolto.


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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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