Intervista al performer Monsieur David

Torinese d’origine, classe 74, all’anagrafe David Rausa. In arte, Monsieur David.

Dopo gli studi artistici ha dato spazio al “viaggio”, per mescolarsi tra diverse culture del mondo attingendo da vari stili creativi. Ha lavorato per anni nei villaggi turistici, come attore e intrattenitore. Ha sviluppato progetti di diversa natura, scoprendo la sua passione per l’improvvisazione teatrale. Il successo lo deve anche a popolari trasmissioni televisive, come Domenica In e Colorado.

Oggi segue con attenzione il teatro di figura, portando in giro nei teatri la sua ultima intuizione. Con i piedi, e attraverso storie musicali, dà vita a racconti contemporanei coinvolgendo grandi e bambini.

Abbiamo parlato con lui di passioni e fonti d’ispirazione, di progetti presenti e futuri, del lavoro sul palco e in tv.

Monsiuer David
Monsieur David

Ciao David, è un piacere averti con noi.

Hai alle spalle un percorso artistico articolato e particolare. Quando è stato che Davide ha scelto di diventare Mounsier David?

A occuparmi di intrattenimento e spettacolo ho cominciato a 19 anni. Durante la mia seconda stagione come animatore, conobbi un capo villaggio molto estroso, Dado, che aveva l’abitudine di dare nomi di fantasia a tutti i componenti dello staf. Per me scelse quello di Monsieur David, per i modi che avevo quando mi esprimevo e per l’aspetto elegante che mi piace ancora oggi portare in giro.

Nel corso della tua carriera hai sviluppato progetti di natura molto diversa tra loro. C’è un filo conduttore che unisce tutte le tue esperienze, una cifra stilistica che ti caratterizza come artista, indipendentemente dal tipo di performance che poi vai a mettere in scena?

Vedete, se mi guardo indietro mi accorgo di aver fatto un percorso molto curioso. Ho iniziato molto presto a lavorare, a 14 anni, facendo svariati lavori. Tutte queste esperienze, così come penso succeda a ogni essere umano, finiscono per muovere qualcosa dentro, per mostrarci ciò che vogliamo e ciò che non vogliamo. Personalmente dopo alcuni anni nel mondo dei “lavori pesanti” capii che ero diverso dai miei coetanei, che avevo fantasia e un modo del tutto personale di esistere la mia direzione. Così, a poco a poco, cambiai rotta, vivendo una sorta di momentaneo isolamento. Proprio questo isolamento fece emergere il mio mondo interiore, che chiedeva in qualche modo che io portassi avanti la mia unicità. Il problema è che non sapevo come farlo. Il mondo dello spettacolo esercitava su di me una certa attrattiva, guardavo la televisione con grande interesse e sentivo che in qualche modo mi apparteneva. Così decisi di buttarmi nell’intrattenimento, diventando comico, improvvisatore, mimo, conduttore e molto altro. Credo che questi ruoli abbiano qualcosa in comune: in primis il risveglio di sé, della presenza, del corpo e dello spirito. Quando tutto questo viene allenato qualcosa accade, la macchina creativa alza il livello di sensibilità, tutti i sensi sono amplificati; in poche parole cominciamo ad attingere a quel luogo infinito dove una moltitudine di informazioni cominciano ad arrivare. Ogni evento è collegato a un altro – ecco cosa credo – e quando approfondiamo un luogo, un pensiero, tutto ciò che è vicino a quel luogo si presenta a te. Penso che nel mio percorso sia successo proprio questo. Il solo filo conduttore che lega tutte le esperienze che ho fatto è la presenza di questa consapevolezza di sé, perché senza questa caratteristica primaria, qualsiasi forma artistica, dal canto al ballo alla recitazione alla poesia non avrebbero nessun valore per chi le osserva. Amo portare eleganza, raffinatezza e semplicità in ogni cosa che faccio: queste tre caratteristiche sono la mia matrice di base, per riconoscermi qualsiasi cosa io proponga.

Parliamo di uno dei tuoi progetti più recenti, la recitazione coi piedi. Perché una scelta di questo tipo? Come hai sviluppato l’idea e a cosa ti sei ispirato?

Il mondo e tutto ciò che offre mi hanno sempre incuriosito molto. Sei anni fa stavo vivendo una fase di transizione, continuavo a lavorare nei villaggi turistici come capo villaggio e nei momenti di pausa facevo delle ricerche su internet per uno spettacolo clown che stavo preparando. Proprio durante una di queste ricerche mi sono imbattuto in un’artista tedesca che utilizzava i piedi nudi all’interno di una storia d’amore. Subito sono rimasto folgorato dalla semplicità disarmante dell’idea, e da quel momento mi sono messo al lavoro, sperimentando. Poco dopo ho trasformato i miei piedi nei personaggi che conoscete e sono arrivato al debutto al teatro Valle di Roma. Un’esperienza davvero emozionante che mi ha spinto a continuare in questo nuovo viaggio, che mi ha portato tra l’altro al debutto televisivo nella seconda edizione di Italian’s got talent, ancora novellino e poco pratico della tecnica, fino a Colorado su Italia1 e Domenica In. Insomma, la mia voce interiore come sempre aveva ragione. Devo ammettere che il lavorare con i piedi mi mette in una condizione più vera: io sono dietro che li dirigo, loro sono i veri protagonisti e io posso finalmente essere sempre me stesso. Quando lavoravo come mattatore, dove sforzarmi ogni giorno, per 18 /20 ore, di essere simpatico – faceva parte del gioco, ma alla mia età penso sarebbe frustrante.

Monsieur David
Monsieur David sul palco, pronto a recitare… coi piedi.

Unico nel tuo genere, oppure ci sono altri colleghi che, prima o dopo di te, hanno fatto una scelta analoga?

Quella dei piede è un’arte molto antica, ma oggi gli artisti che la praticano si contano davvero sulle dita di una mano. Conosco una performer in Germania e una in Perù. Essendo un’arte molto scomoda sono in pochi a volerla affrontare; e poi c’è il fatto che non tutti sono disposti a non mostrarsi e a rendere protagonista qualcosa al di fuori di se stessi. Faccio dell’ironia.

Secondo te, è il linguaggio del corpo la nuova frontiera della recitazione?

Diciamo che negli ultimi tempi, se ci guardiamo un po’ in giro, sono emersi molti spettacoli di teatro-danza, comici in pantomima, per capirci spettacoli che comprendono linguaggio non verbale. Credo che tutto questo non sia casuale. È come se fossimo stufi di sentir dire sempre le stesse cose. A mio avviso il mondo dell’arte, un po’ come l’umanità in generale, si stia trovando difronte a grandi cambiamenti e questi cambiamenti, se non si fa un po’ di silenzio, non possiamo accoglierli nel giusto modo. Credo che il linguaggio del corpo e quello non verbale comincino a prevalere perché in qualche modo abbiamo capito che possiamo esprimere tanto anche con un semplice gesto. È un po’ come portare alla luce un potere antico che urla follemente per voler riemergere

Quando si pensa al cinema muto e ai caratteri non può non venire in mente il personaggio di Charlotte e il grande Charlie Chaplin. C’è un personaggio del passato a cui ti ispiri? Se tu dovessi indicare un mentore artistico sarebbe?

Adoro Charlie Chaplin, ma ahimè, da quando ho cominciato questo percorso con i piedi non c’è nessuno a cui mi ispiro, perché di fatto in questo ambito di modelli importanti da cui prendere le mosse non ce ne sono. Spero di essere io, un giorno, a diventare fonte di ispirazione per qualcun altro. In questo senso sento di avere una grande responsibilità e a volte, se penso alla sicurezza lavorativa che avevo prima, penso “ma chi me la fatto fare!”. Ma poi mi dico che è sempre meglio cacciarsi un po’ nei guai per misurarsi con la propria forza e intuizione, sapendo anche riconoscere e trasformare in modo costruttivo le proprie debolezze. Suggerisco a tutti i giovani di perdere le mollichine di Pollicino e trovare una propria strada; sentirsi anche un po’ in alto mare, di tanto in tanto, senza vedere l’orizzonte

Qualche mese fa hai lanciato una campagna di crowfunding per la realizzazione di un docu-film, “Fantasia a piede libero”. Pensi che in Italia una forma di raccolta fondi “dal basso” come questa possa aprire delle porte ai giovani e a chi ha un progetto da realizzare?

L’esperienza del crowdfunding è stata una vera rivelazione per me. Non sapevo che esistesse un sistema del genere, per portare a termine i propri progetti. Diciamo che in Italia ancora non sono tantissimi a conoscere questa possibilità, ma piano piano sono sicuro potrà essere una grande opportunità. Così come tutte le novità, anche questa ha bisogno di una sorta di assorbimento a livello sociale. All’estero con il crowfunding sono stati realizzati anche grandi progetti, sono convinto che anche da noi potrà funzionare. Ovvio, il sistema ha delle regole ben precise e bisogna fare un po’ di pratica. Con “Fantasua a piede libero” mi sono tuffato, senza sapere bene si cosa si trattasse. Avrei potuto raccogliere molto di più, ma alla fine sai cosa vi dico? Il secondo tentativo, se ci sarà andrà meglio, ma intanto al Giffoni ci sono arrivato ed è stata una grande opportunità per conoscere Maurizio Simonetti, il regista che ancora oggi è nella mia vita, e spero possiamo al più presto mostrarvi qualche novità.

Monsieur David
Monsieur David a teatro

Non solo teatro, per Monsieur David, ma anche la partecipazione ad alcuni noti programmi televisivi comici “Domenica In” e “Colorado”. Com’è stato trovarsi davanti alla telecamera? Un messaggio come il tuo può riuscire a bucare l’obiettivo e a raggiungere anche il pubblico non seduto in sala?

L’esperienza televisiva è stata davvero emozionante. Anche se il più delle volte sono sicuro di me e la mia autostima è a mille, devo ammettere che ho avuto un po’ di problemi. Prima di farne parte sentivo quel mondo così lontano da me e dal mio dolce vivere, ne avevo un’idea un po’ falsata. Quando poi l’ho toccato con mano mi sono bruciacchiato un po’, perché quando non viviamo la realtà per quella che è veramente mente e cuore fanno a pugni. È stata dura. Ricordo ancora la mia prima registrazione di Colorado: ero ansiosissimo, quando è toccata a me ho trattenuto il fiato per tutto il mio numero. Meno male che inizialmente portavo il repertorio, che già conoscevo bene, altrimenti non so come mi sarei esibito. Trovarmi davanti alla telecamera è stato molto complesso, sia per il problema delle inquadrature che bisogna fare per rendere al meglio la performance a casa, sia per il ritmo forsennato che bisogna avere, per i cosiddetti “tempi televisivi” che purtroppo toglievano un po’ di creatività e movimento alle mie storie. Alla fine ho imparato a sentirmi a casa, e oggi quando mi capita di andare in qualche programma vedo tutti come colleghi di lavoro. Ho sciolto piano piano quell’idea illusoria e questo chiaramente mi fa relazionare meglio con tutti gli addetti ai lavori. Alcuni telespettatori mi hanno confermato che anche un teatro come il mio arriva a casa. Non so se è merito mio, ma molti ancora oggi fanno apprezzamenti positivi. È chiaro che, dal vivo, trasporto il pubblico in un mondo più magico.

Hai raccontato storie che coinvolgono grandi e piccini. Ce n’è una che speri di poter far conoscere al pubblico in un prossimo futuro?

Mi piace pensare che le storie che creo siano per grandi e piccini, perché indipendentemente dalla forma che abbiamo in questo momento – grande o piccola – tutti facciamo parte di un grande organismo creativo e tutti, nessuno escluso, secondo me devono poter partecipare a questa esperienza di creazione. Ho avuto diverse visioni in questi ultimi tempi – sapete, le storie nuove non nascono da un’esigenza di competizione, ma dal puro desiderio di raccontare qualcosa che sento veramente, e per questo non esistono tempi prefissati. Ma un desiderio ultimamente l’’ho avuto: la storia comincia da me che entro con un sottofondo cinematografico di tensione, raggiungo il centro del palco e una serie di mitragliate mi fanno secco. Una volta morto difronte agli spettatori, un cambio musicale, emozionale, e una delle mie gambe prende vita, vestendosi da uomo, come a voler rappresentare uno dei tanti umani sul pianeta. Insieme a una voce fuori campo che recita un racconto che faccia capire come le guerre non servano più, nasce un’altra gamba, che sta a rappresentare l’altro individuo. Sempre con il sottofondo di voci fuori campo, il tutto termina con un abbraccio dei due personaggi feet, come se i due si riconoscessero. Quell’abbraccio lo interpreto come una consapevolezza fra persone che ripartono con un’idea nuova di mondo, uniti per l’armonia.

Monsieur David, saloon
Due personaggi della recitazione coi piedi. Monsieur David.

In un mondo come il nostro, dove sembra che al peggio non ci sia mai fine e i Tg sono pieni di fatti drammatici, credi che ci sia ancora spazio per la fantasia?

È da quando sono al mondo che sento di fatti drammatici e poco felici, di gente che si lamenta e si fa coinvolgere da tutto quello che ha intorno, perdendo di vista l’unico elemento importante, sé stessi. Credo che bisognerebbe partire dall’accettazione di tutto quello che esiste, per cominciare a intraprendere un vero e proprio viaggio con se stessi. Una persona molto colta una volta mi ha detto che il mondo interiore è lo specchio del mondo esteriore. Oltre a vederla sul piano spirituale mi soffermerei sul piano organico: all’interno del nostro corpo continuamente, secondo per secondo, avvengono conflitti fra cellule e batteri, esplosioni di varia natura si creano in vari luoghi della nostra superficie interna. Perché vi dico tutto questo? Perché se per un attimo la smettessimo di stare ancorati soltanto alle cose negative che avvengono nel mondo, pensando di volerle eliminare, potremmo forse attingere a elementi come la fantasia e l’intuizione, che sono lì a nostra disposizione per creare la nostra realtà e non solo sostenere e rinforzare le realtà degli altri, che probabilmente non cambieremo mai. Veniamo sul pianeta in veste di cocreatori, la diversità non è altro che lo strumento per stabilire la nostra rotta, non un punto su cui focalizzarci e perdere le energie per affrontare il viaggio. Credo che sempre più persone stiano tornando a imparare ciò che avevano disimparato per colpa delle pesanti infrastrutture mentali del nostro tempo; e credo anche che la fantasia, grazie agli artisti, ai visionari, ai sognatori, non si estinguerà mai.

Che progetti hai per il prossimo futuro? Insomma, dove possiamo vederti?

Sono in preparazione del nuovo spettacolo dove ho ampliato la tecnica dei piedi, trasferendola anche alle mani. Il titolo del nuovo spettacolo è DUPLEFACE. Al momento non anticipo altro, so solo dirvi che mi sto prendendo il tempo necessario per metabolizzare le varie idee che mi frullano per la testa. Tra un po’ inizia il Giubileo romano e sarò coinvolto in eventi straordinari all’interno di questo programma. Ultima cosa, stiamo anche valutando un mio ritorno sul piccolo schermo, sulla tv nazionale, ma come si dice in questo casi, meglio mantenere ancora un po’ di riservatezza. Quello che è certo è che sono sereno, amo le persone che fanno parte della mia vita e questo mi rende già molto ricco.

Come ti vedi, diciamo, tra cinque anni?

Tra cinque anni mi vedo produrre fantasy e piccola cinematografia con i personaggi dei piedi. Mi vedo sereno, con il mio paese fiero di avere un artista italiano che porta l’eccellenza in Europa. Mi vedo pieno di salute e desideroso di mostrare con sempre più grinta la mia voglia di vivere. E vedo anche una casa di mia proprietà, da condividere con la mia compagna che amo da morire e che mi rende felice.

Grazie per esserti raccontato sul nostro sito e ovviamente ti facciamo un grande in bocca al lupo per la tua carriera.


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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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