Maurizio de Giovanni: a tu per tu con il papà di Lojacono e Ricciardi

L'autore napoletano, che spazia dai gialli ai racconti calcistici, si racconta nella nostra intervista

Maurizio de Giovanni è nato a Napoli nel 1958. Nel 2005 ha vinto un concorso per giallisti esordienti con un racconto, “I vivi e i morti”, incentrato sulla figura del commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni ’30. Il personaggio gli ha poi ispirato un ciclo di romanzi, pubblicati da Einaudi Stile Libero.

Nel 2012 è uscito “Il metodo del Coccodrillo“, dove fa la sua comparsa l’ispettore Lojacono, ora fra i protagonisti della serie dei Bastardi di Pizzofalcone, ambientata nella Napoli contemporanea. De Giovanni è anche autore di racconti a tema calcistico sulla squadra della sua città, della quale è visceralmente tifoso, e di opere teatrali.

Abbiamo intervistato l’autore per parlare dei suoi personaggi, delle sue passioni ma anche dei progetti per il futuro.

 

Maurizio De Giovanni se non fosse diventato uno scrittore sarebbe stato?

Un bancario fortissimo lettore.

Tre aggettivi che la descrivono.

Umorale, appassionato, sentimentale.

Ha scritto il suo primo racconto nel 2005. Com’è stato per lei l’avvicinamento alla scrittura? È stato invaso improvvisamente dal “sacro fuoco delle Muse”, per dirla come gli antichi, oppure è arrivato a quel racconto e poi ai romanzi con un percorso ponderato, magari fatto anche di studio?

Si è trattato di un caso. Alcuni amici mi hanno iscritto a un concorso letterario che ho inopinatamente vinto. Di lì la pubblicazione del testo su un settimanale, il contatto di un’agente letteraria, l’approdo a un editore campano, il contatto con Fandango… e poi non mi sono più fermato. Nessun fuoco sacro né studi matti e disperatissimi. Semplicemente un colpo di fortuna con la C maiuscola. Lo studio è venuto dopo: il romanzi storici necessitano di attente ricerche, sempre più accurate via via che i lettori aumentano.

Il commissario Ricciardi e l’ispettore Lojacono sono i due grandi uomini al comando nei suoi romanzi. Quanto c’è dell’uomo De Giovanni in questi personaggi?

Non credo di somigliare a nessuno dei due. Probabilmente tra i miei personaggi quello in cui mi riconosco di più è il Brigadiere Maione, con il suo profondo sentimento di paternità.

Uno degli elementi che a nostro avviso distingue la serie de “I Bastardi di Pizzofalcone” da altri romanzi polizieschi, è lo spazio e la rilevanza data ai personaggi femminili e in generale la costruzione attenta e precisa di ogni carattere, non solo del protagonista. Quanto lavoro c’è dietro a una costruzione di questo tipo? E si è ispirato a figure reali, per i Bastardi, o è tutta farina del suo sacco?

Alla base del racconto di ciascun personaggio c’è un incontro. Sono figure reali rielaborate e mixate, il più delle volte. Per i personaggi femminili, in particolare, mi affido a un principio che finora non mi ha mai tradito: per me le donne sono incomprensibili, ma quando ne scrivo parto sempre dal presupposto che loro vivano proiettate nel futuro, diversamente da noi uomini che siamo ancorati al presente.

I Bastardi approdano anche in tv, con una serie di cui è sceneggiatore. Com’è stato lavorare a questo progetto e portare la storia e i personaggi dalla pagina scritta al piccolo schermo?

Il linguaggio della televisione e quello dei libri sono profondamente diversi. È stato bello lavorare alla fiction ma ho dovuto, o almeno cercato di tenere sempre presente questa diversità.

Oggi il genere poliziesco sta vivendo una nuova giovinezza, in libreria e in tv. Un nuovo interesse dovuto al genere che si rinnova oppure pensa che certe storie, fatte di indagini, casi da risolvere, commissari, ispettori e detective non siano mai passate di moda e mai lo faranno?

Credo che le storie nere sono e saranno sempre attuali, perché a mio parere il romanzo nero è l’unico romanzo sociale che c’è. Quello che ci consente di rimestare nella melma, alla ricerca della suppurazione che spesso rovina i sentimenti positivi fino ad arrivare addirittura al delitto.

Da bravo maschio italico è un grande appassionato di calcio, e ne ha scritto anche in una serie sportiva molto ricca. È stato capace di scrivere in modo oggettivo, oppure quando si parla di passioni tutto è concesso, anche essere terribilmente di parte?

Io sono un tifoso e rivendico il mio diritto alla assoluta parzialità.

C’è una storia che non ha ancora scritto che le piacerebbe regalare al pubblico? Magari di un genere differente?

Ho una bella storia, che riguarda una conversione, ambientata negli Anni Sessanta. Tutto un altro genere, rispetto a quello a cui ho abituato i miei lettori. Prima o poi la scriverò. Mia moglie dice che sarà la più bella di tutte.

Non è una novità, i dati parlano di un’Italia che legge poco o niente. Secondo lei esiste un modo per avvicinare giovani e meno giovani alla lettura, oppure è una battaglia persa in partenza quella che alcuni credono di stare combattendo contro tv e internet?

Conosco il problema. Ma le dico che sempre più frequentemente i giovani e giovanissimi si avvicinano ai miei libri. Percepisco una leggera inversione di tendenza. Spero di non sbagliarmi, visto che secondo me solo la lettura potrà salvare il genere umano.

Abbiamo letto che, quando nel 2019 scadranno i contratti che la legano alle case editrici, smetterà di scrivere. Dobbiamo crederci?

Ho accettato un ultimo contratto. La data vera è il 2020. Mi creda: ambisco alla pensione. Magari continuerò a scrivere per il teatro. Ma di certo abbandonerò la serialità. Sicuramente Ricciardi è in dirittura d’arrivo.

Grazie a Maurizio de Giovanni per essere stato con noi.

 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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