Intervista a Jim Kay, l’illustratore che ha dato un nuovo volto a Harry Potter

Dieci anni lontano dall'arte, il lavoro su "Sette minuti dopo la mezzanotte", il successo, i progetti

A qualcuno il nome Jim Kay potrebbe non dire molto. Eppure si devono a lui le bellissime illustrazioni dei nuovi libri di Harry Potter editi in Italia da Salani.

Il suo percorso è stato tutt’altro che lineare: per dieci anni ha abbandonato la carriera artistica; ha ritrovato l’ispirazione grazie al lavoro sul racconto “Sette minuti dopo la mezzanotte” (da cui è stato tratto anche un film), che gli è valso il prestigioso CILIP Kate Greenaway Award; ha lavorato tra la Tate e i Kew Gardens di Londra, lasciandosi ispirare dalla bellezza del mondo botanico e naturale.

Anche se lui non si sente esattamente un illustratore per ragazzi ed è ancora alla ricerca del suo posto nel mondo, le immagini della “nuova” Hogwarts che ha regalato al mondo portano indelebile la traccia del suo percorso personale e artistico. Un percorso che, da molti anni, condivide con la sua compagna di vita e di lavoro, Louise Clark, insieme alla quale ha fondato recentemente l’atelier artistico Creepy Scrawlers.

Due lumache per un cappello. Un nuovo progetto di Jim Kay per l’atelier artistico Creepy Scrawlers

Nella nostra intervista abbiamo dialogato con lui per mettere in luce dettagli che (speriamo) possano aiutare i lettori a immergersi ancora più in profondità nei suoi coloratissimi disegni.

 

Diamo il benvenuto su Parole a Colori a Jim Kay.

Nelle precedenti interviste ha parlato delle storie come di qualcosa che ha avuto una grande influenza sulla sua vita. Ha detto che, durante la sua vita, è stato circondate da storie, teatro e arte. Come ha influito, questo, sulla sua decisione di diventare un illustratore di libri per bambini?

Non ho mai veramente pensato di diventare un illustratore di libri per bambini, e non mi sento ancora tale. Sto ancora aspettando di trovare la mia strada, anche perché fare l’illustratore non è una cosa che mi fa sentire a mio agio. Lo trovo veramente difficile, e va contro la mia natura stare seduto in una stanza a disegnare tutto il giorno. Per dirla tutta, è veramente snervante, stare seduto da solo per dodici ore al giorno. Mi piace creare cose, e mi piace essere circondato da persone creative, siano esse scienziati, artisti o insegnanti. Trovo che il guardare il lavoro di altre persone sia di grande ispirazione, e mi spinge a disegnare. È salutare guardare al di fuori della propria disciplina per ispirarsi. Al momento sto imparando a fare cappelli, poiché mi riesce naturale lavorare su singoli oggetti tridimensionali. Ciò nonostante, ho sempre amato l’arte e il teatro perché mi sono sempre sembrati modi straordinari per esprimere le proprie emozioni.

In passato ha detto che compito delle illustrazioni è commuovere e coinvolgere emotivamente i lettori, per aiutarli a entrare dentro la storia. Pensa che le sue ci riescano?

Onestamente non lo so. Non riesco a guardare al mio lavoro con gli occhi di un lettore, ed è proprio questo che rende tanto difficile illustrare un libro. Tendo a lasciarmi prendere dai procedimenti tecnici, e sono sempre sotto la costante pressione delle scadenze, quindi penso che molto di quel che faccio mi venga d’istinto. Per esempio, i libri di Harry Potter hanno comportato tanto lavoro in pochissimo tempo, e non mi sono reso conto della loro riuscita finché non sono stati pubblicati. Ma anche in quel momento, non sono riuscito davvero a guardarli. Uno si focalizza sui problemi e sugli errori, su tutte le immagini che non sono state realizzate per via della mancanza di tempo. Quello che faccio a volte, mentre lavoro sulle illustrazioni, è pensare alla storia come a un film, e immaginare la scena che potrebbe attirare gli spettatori. Penso agli “attori” coinvolti, alla luce, persino alle indicazione di regia e alla musica d’accompagnamento. Questo mi aiuta a ricreare l’atmosfera.

Jim Kay, Volando sopra la stazione di St. Pancras

Nelle illustrazioni, si nota la sua grande abilità nell’usare un’ampia gamma di tecniche. Come sceglie quelle che funzionano? Quanto lavoro c’è dietro?

All’inizio, l’obbiettivo era di trovare uno stile. Non ho ancora uno stile che mi senta di poter chiamare “mio”, così tendo a buttare qualsiasi cosa dentro al libro per vedere cosa funziona e cosa no. Invidio gli illustratori che hanno un loro tratto distintivo, perché sicuramente questo rende tutto più facile, sia all’illustratore che all’editore che sa cosa aspettarsi. Allo stesso tempo, tendo anche ad annoiarmi abbastanza rapidamente del mio stesso modo di disegnare, che è poi anche la ragione per la quale mi piace provare cose diverse o lavorare su oggetti tridimensionali. È semplicemente un modo di evitare di cadere nel prevedibile.

Nel 2012, lei e Patrick Ness siete stati premiati, rispettivamente, con la medaglia Kate Greenaway e la medaglia CILIP Carnegie per il vostro lavoro sul romanzo “Sette minuti dopo la mezzanotte”. Che cosa ha significato per lei vincere quel riconoscimento?

Inizialmente è stata un’esperienza surreale. Sono stato incredibilmente grato al direttore artistico, Ben Norland, a Patrick e all’intera famiglia di Siobhan. Quel libro ha significato tanto per molte persone, incluso me, e sapere che ancora più persone l’avrebbero letto grazie al premio è stato fantastico. Mi sono sentito colpevole per più di un anno dopo il premio, poiché non avevo illustrato niente per tanto tempo, mi sono sentito come se avessi ingannato qualcuno ricevendo un premio al primo tentativo, nonostante i sei difficili mesi che ho passato lavorando a quel progetto. Ma, senza quel libro, non starei qui a illustrare oggi. Ha fatto una tale differenza, per me: ero a pezzi prima che uscisse. Cosa molto più importante, ho incontrato Patrick, che mi ha fatto sentire molto meglio con me stesso, è un uomo eccezionalmente buono e premuroso.

Jim Kay, illustrazione interna per il libro di Patrick Ness “Sette minuti dopo la mezzanotte”.

Parlando della storia di “Sette minuti dopo la mezzanotte”, da cui è stato tratto anche un film, si tratta di un racconto molto forte e commovente che spiega con grande semplicità e delicatezza temi moto complessi (la morte, la paura, la rabbia) ai giovani lettori. Quali aspetti della storia l’hanno ispirata per realizzare le sue illustrazioni? E qual è stato il suo approccio per realizzarle?

In passato ho già parlato molto di questo. L’aspetto delle illustrazioni del libro è stato principalmente dettato dalla temperatura dell’appartamento dove vivevo all’epoca (una gelida casa a schiera in stile georgiano a Edimburgo), e dallo stato mentale in cui mi trovavo (senza soldi, depresso, a centinaia di chilometri dalla mia compagna). Ero lontanissimo dagli amici e dalla famiglia, e questo è stato uno stimolo per l’intenso periodo di lavoro che ho affrontato. Una situazione simile ti spinge a concentrarti completamente su ciò che hai tra le mani. Faceva troppo freddo per soffermarsi a disegnare dettagli, per cui ho fatto innumerevoli segni a caso stampando, dipingendo, facendo schizzi, intingendo cose nell’inchiostro. Una volta fatti gli schizzi sui fogli, li appendevo su fili sottili tutt’intorno all’appartamento, e li fissavo intensamente per giorni. Era come vivere dentro un test di Rorschach. Ho cominciato a vederci dentro paesaggi, figure e oggetti, e poi a incollarli insieme. Mi sono attaccato addosso una coperta elettrica per sentire abbastanza caldo da lavorare, e ho cominciato a tirar fuori immagini. A quel tempo ero anche fissato con i primi film di David Lean (i primi cinque minuti di “Oliver Twist” hanno ispirato il template visivo per il libro, ad esempio), e guardavo vecchi film tedeschi espressionisti, come “Nosferatu” e “Schatten”. Volevo che il libro sembrasse come i negativi e i fermi immagine di un vecchio film. Ma è stato poi il direttore artistico, Ben Norland, a trasformare il libro in quello che è. Ha fatto un lavoro incredibile, e non solo sul libro. Era sempre disponibile per una telefonata e gli sono grato per questo, molto più di quanto lui stesso sappia.

Jim Kay, Harry che gioca a Quidditch

A seguito del successo di quel progetto, l’editore della Rowling la contattò per commissionarle il lavoro sulla versione illustrata di Harry Potter – che sorprendentemente arriva dopo anni di film, videogame, e altre realizzazioni visive del mondo della magia. Cosa pensa che distingua la sua versione da tutto il resto?

È difficile da dire, ho semplicemente letto e riletto il testo tantissime volte, e ho cercato di immaginarlo completamente da zero. Credo che ciò che mi interessasse fare fosse il rendere Hogwarts un po’ più organica, rispettando il testo il più possibile. Per esempio, quando l’autrice dice che Hogwarts era supportata dalla magia ho cercato di far sembrare il castello come se stesse germogliando dal paesaggio. Ho anche aggiunto molti dettagli tratti dalla storia naturale nelle mie illustrazioni – sono solo un appassionato di insetti e di uccelli.

Grazie ai film, molte scene e personaggi di Harry Potter hanno già acquisito una forte connotazione visiva. Mentre lavorava alle illustrazioni, come si è confrontato con questo aspetto? E quanto ha influenzato il suo processo creativo, o la sua scelta delle persone da cui trarre spunto per i suoi ritratti?

All’inizio è stato molto difficile perché non capivo la ragione per cui dovessimo tentare di illustrare una serie di libri che era già stata adattata così bene nei film. Ma quando ci ho riflettuto su, l’opportunità di rappresentare nuovamente quel mondo dal nulla mi ha entusiasmato. Ho dovuto ripensare i personaggi, riprogettare gli attrezzi di scena, i costumi, l’architettura. È un lavoro da sogno, ad essere onesti. È interessante come non appena abbia cominciato a dilettarmi a disegnare Harry Potter e il suo mondo, ho immediatamente scordato qualsiasi cosa fosse accaduta prima. È facile perdersi nuovamente nei libri, sono così accessibili, ed è fuorviante quanto semplici siano alcune descrizioni dei personaggi fatte dall’autrice. Come nelle più grandi storie, il lettore riempie i buchi senza neanche saperlo, ma è anche più divertente farlo coinvolgendo persone reali nel processo, perché puoi vederle crescere e invecchiare così come i personaggi crescono nella storia. Per esempio, c’è un giovane che mi ha ispirato le fattezze di Ron nei libri, e un altro mio amico che è un Piton perfetto. Nessuno rispecchia esattamente le descrizioni, ho dovuto fare qualche modifica, ma loro per me arricchiscono i personaggi lo stesso, e sono di grande ispirazione.

Di recente lei e Louise Clark, sua compagna di vita e di lavoro, avete avviato un atelier artistico, il Creepy Scrawlers. Da dove viene il nome?

Da bambino, tra le cose che avevo, una delle mie preferite era un piccolo libro dal titolo “Insetti paurosi”. È da allora che ho una passione per i ragni e gli insetti. Ho inventato il nome Creepy Scrawlers (Paurosi Scarabocchiatori, ndr) una volta che il mio agente stava organizzando un raduno di illustratori a Londra. Mi sembrò un nome appropriato per un gruppo di persone che si nascondono al chiuso e scarabocchiano su un foglio tutto il giorno. In seguito ho usato quel nome per un’insegna di un negozio in un’illustrazione di Diagon Alley e poi per l’atelier mio e di Louise. Negli ultimi quindici anni, abbiamo comunque sempre lavorato insieme – Louise passa al vaglio tutti i miei lavori – ma lavorare con lei sotto lo stesso tetto è fantastico.

Il vostro manifesto artistico prevede di fornire alle persone cose bellissime, impossibili da trovare altrove e capaci di migliorare la vita. Cos’è, per lei, una cosa bellissima?

Credo che una cosa bella sia, in un qualche modo, una cosa soggettiva. Al momento, per esempio, sto creando piccoli gioielli a forma di lumaca da aggiungere al mio cappello, e ho ricamato piccoli ragni, che alcune persone potrebbero non trovare particolarmente attraenti! Sia io che Louise siamo interessati all’entomologia, all’ornitologia, a tutte le sfaccettature del mondo naturale e al modo in cui questi sono stati rappresentati nella moda e nella scienza.

Jim Kay, una lumaca “di prova” realizzata nell’atelier Creepy Scrawlers.

Oltre al suo lavoro sui libri di Harry Potter, quali sono i progetti a cui lei e la signora Clark state lavorando per portare queste “cose bellissime” più vicine ai vostri ammiratori, lettori o fan?

Be’, siamo agli inizi come compagnia, ma negli anni passati ci siamo dilettati con design di tessuti e stampe, e numerosi quanto inusuali design di cappelli, che abbiamo cominciato a fare per piacere personale. Per motivarci abbiamo deciso di condividere queste idee. Al momento non riesco a lavorare ad altro che a Harry Potter, e potrebbe rimanere così negli anni a venire. Tuttavia, sia io che Louise andiamo a Londra tutte le settimane per lavorare su due separati modelli di cappelli, che saranno pronti agli inizi del 2018. Fare cappelli è un processo incredibilmente complesso. Solamente per fissarlo ci possono volere interi giorni di lavoro – ma è proprio il processo che noi troviamo così gratificante, e per me è un cambiamento rigenerante dal lavorare sulla carta. Abbiamo così tanti progetti: fare ceramiche, lavorare il vetro, fare tappezzeria, di tutto! Sono fortunato a lavorare ogni giorno con qualcuno che condivide le mie passioni, e che sente il bisogno di continuare a creare cose per esprimere le sue emozioni.

 

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Federica Gamberini
Bolognese di nascita, cittadina del mondo per scelta, rifugge la sedentarietà muovendosi tra l’Inghilterra (dove vive e studia da anni), la Cina, l’Italia e altre nazioni europee. Amante della lasagna bolognese, si oppone fermamente alla visione progressista che ne ha la signorina Lotti, che vorrebbe l’aggiunta della mozzarella. Appassionata di storie, nel tempo libero ama leggere, scrivere, guardare serie TV e film, e partecipare a quanti più eventi culturali possibile.

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