“Il mio Godard”: un ritratto vivido e provocatorio del genio francese

L'attore protagonista Louis Garrel e il regista Michel Hazanavicius presentano il film a Roma

Dopo aver concorso all’ultimo Festival di Cannes per la Palma d’Oro, “Il mio Godard”, film che ha al centro la figura del genio intellettuale di Jean-Luc Godard, ultimo erede della Nouvelle vague, arriva nelle nostre sale a partire dal 31 ottobre.

Abbiamo incontrato il regista, premio oscar per “The Artist”, Michel Hazanavicius e l’attore protagonista Louis Garrel a Roma.

 

Dopo aver incentrato un film su di lui pensa di poter dire chi è davvero Godard? E quale immagine la sua pellicola rimanda del grande regista francese?

Michel Hazanavicius: “Il titolo originale Redoutable probabilmente non è stato così efficace, infatti apprezzo molto l’adattamento italiano. Quello che appare sul grande schermo è una catena di punti di vista su Godard. Alla base c’è il libro di Anne Wiazemsky (“Un anno cruciale”, ndr), ma poi c’è la mia versione nella sceneggiatura, c’è l’interpretazione di Garrel. Inoltre Godard è un personaggio multi-sfaccettato, è la compresenza di commedia e di tragedia, è l’idolo e l’uomo. Quindi è pressoché impossibile dire chi sia Godard. Nel mio film è soprattutto una persona che non sa amare o ama male, ma soprattutto che non riesce ad amare se stesso”.

In questa multiformità, Michel Hazanavicius ha un suo Godard preferito?

M. H.: “Amo il Godard del primo periodo, che però non definirei autore di un cinema di tipo industriale. I suoi primi film sono comunque film girati con un budget limitato e non avendo mai avuto un successo di pubblico, non hanno mai incassato delle cifre enormi al botteghino. Mi piace molto la sua volontà di affascinare il pubblico con qualcosa di originale e divertente. I film della fase Dziga Vertov sono molto lontani da me. Ho un gusto del cinema classico, nonostante apprezzi la sua volontà di realizzare un cinema diverso.”

Louis Garrel presta il volto all’istrionico protagonista. Conosceva già il personaggio prima di questo film? E cosa apprezza di lui?

Louis Garrel: “Ho sempre amato Godard, ma era molto difficile amare poi il resto perché se ti piaceva Godard poi non potevi amare anche Truffaut. In realtà io li amavo entrambi. Quello che ammiro in lui è anche il coraggio di prendere una posizione così netta in quegli anni, di mettere a rischio la sua carriera per portare avanti le sue idee”.

Come ha affrontato il ruolo e l’ambientazione?

L. G.: “Questo è il terzo film ambientato nel ’68 di cui sono protagonista. Gli altri due, The dreamers di Bernardo Bertolucci e Les amants réguliers di Philippe Garrel, erano diretti da registi che avevano vissuto quell’epoca e quella ribellione, e infondevano quello spirito nel film. Michel è invece un figlio del ’68, non lo ha vissuto direttamente, ma, come me, ha riportato sullo schermo quello spirito, quella forza”.

Come ha sottolineato Garrel, lei il ‘68 lo ha vissuto solo di rimando. Perché ha deciso di ambientare il suo film in quel periodo? Cosa voleva trasmettere al pubblico contemporaneo?

M. H.: “Volevo riportare la forza positiva che sentivo, la voglia di cambiare le cose per migliorarle, la forza dei giovani, le idee. Anche oggi ci troviamo in una situazione molto tesa politicamente, solo due anni fa ci sono state proteste molto forti in Francia, ma la differenza con quelle di quell’anno è l’apparente incapacità di riunirsi e coordinarsi. Ora uno sciopero generale come quello del 1968 non sarebbe pensabile”.

Più che un film biografico, “Il mio Godard” ha secondo noi le caratteristiche della commedia romantica. Che ne pensa? Non abbiamo capito niente?

M. H.: “In effetti non volevo fare un film biografico, volevo rappresentare Jean-Luc Godard in un momento che è una vera frattura, tra il mondo che conosceva e il futuro, tra l’amore e l’impegno politico. Il film è una commedia perché il suo comportamento è allo stesso tempo eroico e ridicolo, comico e drammatico. Della sua arte ho cercato di riportare alcuni aspetti. Il film usa delle formule che erano usate anche da Godard nei suoi film, mentre il contrappunto che uso di alcune frasi e scritte sui muri con ciò che succede sullo schermo è dovuto a una ricerca fatta sugli slogan del 1968”.

Il film si caratterizza per la curiosa, ma efficace, mescolanza di generi. L’equilibrio tra il tono giocoso e il rispetto dei personaggi permette di alleggerire la narrazione e di raccontare in modo spiritoso i momenti dolorosi che i personaggi, gioco forza, vivono.

M. H.: “Ho sempre cercato di trovare un equilibrio. Volevo fare un film gioioso, ma non volevo assolutamente caricaturizzare la figura di Godard, al cui interno si alternano commedia e tragedia. Mi sono sempre ispirato ai film di Scola, Risi e Monicelli e Wylder. I loro film mostrano esseri umani in tutta la loro complessità e contraddizione”.

 

“Il mio Godard” arriverà nei cinema italiani a partire dal 31 ottobre. Su Parole a Colori, la recensione in anteprima. 

 

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Federica Rizzo
Campana doc, si laurea in scienze delle comunicazioni all'Università degli studi di Salerno. Internauta curiosa e disperata, appassionata di cinema e serie tv, pallavolista in pensione, si augura sempre di fare con passione ciò che ama e di amare fortemente ciò che fa.

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