Il fantasy e la parità di genere: quando i libri insegnano

di Maurizio Carucci

 

La società, ancora oggi, stenta a scrollarsi di dosso una triste e opprimente quanto ammuffita realtà: il maschilismo.

Senza considerare secoli e secoli di sottomissione della donna, nell’ultimo periodo si è passati dal maschilismo fiero e machista dei primi del ‘900, a quello più subdolo, quasi inconscio.

Lottiamo quotidianamente per far sapere al mondo di essere contro questo tipo di atteggiamento sessista, eppure consideriamo normale che siano nove uomini a deliberare su questioni come la libertà della donna, in una Stanza Ovale.

A questo punto, vi starete chiedendo cosa c’entri tutto questo con il fantasy.

Basta pensare a qualche titolo per rendersi conto che, paradossalmente, in questo genere di romanzi incontrare personaggi femminili potenti e influenti sia normale, mentre nel nostro mondo è quasi un’eccezione alla regola.

Possibile che la società dell’universo fantasy, ispirata, nella maggior parte dei casi, a un modello obsoleto come quello medievale sia così all’avanguardia? Possibile che per trovare la parità dei sessi sia necessario guardare a un universo parallelo?

Andiamo con ordine. Vi sono numerosi esempi a sostegno di questa ipotesi. Pensiamo ai romanzi di Licia Troisi, e a creature come Nihal, Dubhe o Sofia; pensiamo ad Hermione, alla Professoressa McGranitt e a Bellatrix Lestrange, nate dall’instancabile penna di J. K. Rowling; ma soprattutto pensiamo alle opere di G. R. R Martin, nelle quali troviamo i più eclatanti esempi di donne che ricoprono ruoli di potere dei libri, Daenerys Targaryen e Cersei Lannister tra tutte.

Queste potrebbero tuttavia apparire come eccezioni, e vi sono di certo altrettanti casi in cui il fantasy rischia di risultare maschilista. Prendiamo ad esempio “Il Signore degli Anelli” di Tolkien, con la sua storia quasi tutta al maschile – basti pensare che nella trasposizione cinematografica, in circa dodici ore di pellicole non c’è nemmeno un dialogo fra due donne! -, o “Le Cronache di Narnia” di C. S. Lewis, che a un certo punto scrive di Susan Pevensie che “non è più amica di Narnia” in quanto “più interessata a rossetti, calze di nylon e inviti”.

Va comunque precisato che entrambi questi romanzi sono stati scritti negli anni ‘50 (1955 il primo, 1950-56 il secondo), per cui la mentalità degli autori è gioco forza diversa da quella odierna.

Insomma, anche pensando agli ultimi due esempi, l’universo fantasy può essere visto come uno specchio del nostro, ancora legato a determinate concezioni e a un rapporto fra i generi asimmetrico, ma in maturazione e in evoluzione.

Un’evoluzione più rapida di quella che sta avvenendo nella realtà, perché chi scrive fantasy non vuole semplicemente evadere o creare universi fantastici fini a se stessi, ma dare vita a una propria versione del mondo, funzionante.

Per questo, sempre più spesso e con più efficacia, piaghe come il maschilismo vengono messe in ridicolo, nei romanzi, dimostrando come sia l’idea stessa della donna inferiore all’uomo solo perché donna la vera fantasia.





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