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Dalla Buyers Club, locandinaUn film di Jean-Marc Vallée. Con Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner, Denis O’Hare, Steve Zahn. Drammatico, 117′. 2014

Ron Woodroof vive come se non ci fosse un domani, non credendo alla medicina ma professando solo la religione della droga e dell’alcol. La scoperta di non avere realmente un domani a causa della contrazione del virus HIV apre un calvario di medicinali poco testati e molto inefficaci, fino all’estrema soluzione di sconfinare in Messico alla ricerca di cure alternative. Lì verrà a conoscenza dell’esistenza di farmaci e cure più efficaci, ma non approvate negli Stati Uniti, che deciderà di cominciare ad importare e vendere a tutti coloro i quali ne abbiano bisogno, iniziando un braccio di ferro legale con il proprio paese.

 

Di questo film, lo scorso anno quando è uscito in sala, e poi quando Matthew McConaughey e Jared Leto si sono aggiudicati le ambite statuette come miglior attore protagonista (il primo) e non protagonista (il secondo) devono aver già detto e scritto tutto. Critici e spettatori avranno parlato della storia, dello spaccato di Stati Uniti che racconta. E poi ancora dei luoghi comuni, della contrapposizione tra persone sane e persone malate e di quello che si può essere disposti a fare, quando si è disperati e si vede la morte in faccia. Ci saranno anche stati discorsi sui costi dell’arte, sui rischi che comporta fare gli attori – non so se vi è capitato di vedere delle foto dei due protagonisti quando hanno interpretato i rispettivi ruoli, non si può negare che diano da pensare.

Un fiume di parole, una moltitudine di opinioni, spunti di discussione, critiche ed elogi a cui non è semplice aggiungere qualcosa.

Posso dirvi che io l’ho vista solo adesso, questa pellicola cruda che racconta un periodo che oggi tendiamo a dare per superato, presi come siamo da nuove epidemie e nuovi mali incurabili, alla vigilia di una nuova cerimonia degli Oscar che incoronerà altri vincitori. Nonostante l’impatto dell’uscita al cinema e delle prime chiacchiere si sia sopito da tempo la forza del film è dirompente. Comunque.

Vedendo Dallas Buyers Club ho pensato a un’altra pietra miliare del cinema, datata 1993, Philadelphia, anche se non l’ho mai visto. Devo colmare questa lacuna. Ma so che non lo farò subito, non lo farò neppure nell’immediato futuro, perché serve del tempo per riprendersi da una storia come quella che ho appena osservato dispiegarsi sul piccolo schermo. Al momento non ho cuore di affrontarne un’altra simile.

Il film di Jean-Marc Vallée colpisce dritto al cuore, grazie alla sceneggiatura e soprattutto alle interpretazioni dei protagonisti. Poi fa riflettere. Oppure riesce a fare entrambe le cose allo stesso tempo, emozionare e dare da pensare. Penso sia questo il bello. Non è un film da guardare con leggerezza, perché non ci sono possibilità che vi lasci indifferenti.

La malattia cambia le persone, e non importa quanto uno cerchi di affrontarla in modo positivo, quanto provi a trovare delle soluzioni oppure porsi degli obiettivi per tirare avanti un altro giorno, prima o dopo il dolore e lo sconforto arrivano per tutti. E ti stravolgono. E stravolgono te, spettatore, che seduto sul divano di casa guardi il film. Perché è impossibile non venire toccati dalla metamorfosi psicologica e fisica a cui vanno incontro queste persone.

Alle storie intime, personali, si affiancano gli interessi delle case farmaceutiche, le scelte di somministrazioni di farmaci potenzialmente dannosi, le tappe che hanno portato a un qualche tipo di contenimento di un virus, l’HIV, e di una malattia, l’AIDS, che quando sono esplosi nel mondo occidentale hanno assunto i caratteri di una pandemia. Eppure questi grandi temi si perdono, schiacciati dal peso delle vite dei singoli, delle storie dei singoli.

Farmaci e cure che si sono succedute fino ad arrivare al presente si possono trovare sui libri. Ma quello che al cinema viene privilegiato, quello che piace e resta impresso, sono le vicende piccole, circoscritte, di personaggi sconosciuti ai più. Ma è nel loro essere uomini e donne come noi che sta tutta la forza di una narrazione.


 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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