Il regista Denis Villeneuve a Roma, accompagnato dall’attrice Sylvia Hoeks, per presentare “Blade Runner 2049”, l’attesissimo sequel del film cult di Ridley Scott.

“Ho visto Blade Runner proprio nel periodo in cui cominciavo a pensare di diventare un regista. Ero un geek della fantascienza, e cercavo una visione matura del futuro, ma all’epoca non ce n’erano molte. È un film che ha avuto un forte impatto su di me”.

Parla così Villeneuve del film cult del 1982 diretto da Ridley Scott di cui prende, oggi, l’eredità in un sequel che arriverà nelle sale italiane il 5 ottobre, un giorno prima dell’uscita americana.

Nonostante possa sembrare che il nuovo “Blade Runenr” ricalchi le distopiche location del suo predecessore, il regista ha raccontato che in realtà la sua ultima fatica è ambientata in un mondo decisamente diverso.

“Questo mondo ricorda quello del film di Scott ma presenta molti cambiamenti. Il mio film mostra come le cose non siano andate bene, il clima si sia evoluto disastrosamente e chi sopravvive si ritrovi in condizioni terribili. Inoltre, un blackout ha portato alla distruzione di internet e di tutti i suoi dati, e l’analogico è tornato ad avere la meglio sul digitale. Questo passo indietro fa sì che il lungometraggio dia spazio anche a una riflessione sulla fragilità della nostra realtà così legata alla tecnologia. Inoltre nel film, proprio per l’assenza della rete, l’Agente K si muoverà continuamente e il fatto che debba ‘sporcarsi le mani’, fare le sue ricerche è un particolare che ho adorato della sceneggiatura”.

Uno degli elementi più importanti di “Blade Runner” sono i colori, e anche nel suo sequel Denis Villeneuve ha voluto omaggiare l’estetica della pellicola di Scott, senza esimersi dal dargli una caratterizzazione più drammatica.

“Sul piano estetico è una pietra miliare per il modo in cui Ridley Scott ha usato la luce, creando atmosfere nebbiose. Io e Roger Deakins volevamo che le radici del sequel affondassero nel film originale, doveva svolgersi nello stesso “quartiere” e nello stesso ambiente del primo. Le cose, in questo futuro, sono semplicemente peggiorate. Il clima è più freddo, un fatto che per me è stato di grande ispirazione, in quanto canadese. La qualità della luce è una cosa che mi ispira sempre molto: che tipo di alfabeto cromatico uso? Questo nuovo film ha momenti molto scuri, ma anche altri più argentei e bianchi, basati sulla luce del nord. La palette cromatica trae ispirazione dall’inverno. È raro, per un cineasta, avere il controllo totale, ma questo mi ha permesso di inserire piccoli indizi nei colori che possono essere seguiti dal pubblico: il giallo, ad esempio, è un collegamento alla mia infanzia. Abbiamo fatto evolvere la palette in un modo molto specifico”.

Le vicende di “Blade Runner 2049” sono ambientate a trent’anni da quelle del primo lungometraggio e vedono come protagonista l’agente K (Ryan Gosling) della polizia di Los Angeles.

“Ridley Scott ha subito pensato a Gosling come protagonista e mi ha proposto di scrivere la sceneggiatura basandomi su di lui. Il personaggio era perfetto per lui, che non aveva mai preso parte a un film di questa portata. Ha accettato subito. Si è ispirato moltissimo al primo Blade Runner per la sua performance, lavorando però su un piano più complesso dove la solitudine e il thriller esistenziale tracciano una serie di tematiche su questo personaggio”.

Sul suo protagonista ha poi aggiunto: “Amo gli attori che non fanno gli attori, ma che invece sono il personaggio, lo incarnano. Uno come Clint Eastwood, ad esempio, sa imporsi con la sua presenza anche senza muoversi: ha il carisma necessario per realizzare questo obiettivo, come anche Harrison Ford. Al contempo, esprime sfumature emotive in maniera particolare. Perché Ryan Gosling? Perché è un artista straordinario. È presente in ogni singola inquadratura, e il film pesa sulle sue spalle. Ho scelto personalmente tutte le comparse, perché – come in un film in costume – non tutti i volti sono adatti per l’epoca che raccontiamo, ma Gosling appartiene pienamente a questo mondo futuristico”.

Oltre a Gosling e Ford, il film può contare anche su attrici donne di talento e personalità, che interpretano ruoli femminili decisamente action, come Sylvia Hoeks che ha accompagnato Villeneuve a Roma e che in “Blade Runner 2049” interpreta Luv.

“È il braccio destro di Wallace, un fabbricante di replicanti interpretato da Jared Leto. Con lui ho un rapporto complesso, molto intenso perché il mio è un personaggio alla ricerca della propria identità, un po’ una Audrey Hepburn sotto acido. Su Luv e sul Tenente Joshi – impersonata da Robin Wright – è basato l’inedito ‘lato femminile’ che verrà esplorato in questo sequel”.

La Hoeks, che qualche anno fa è stata la protagonista del film del premio Oscar Giuseppe Tornatore “La migliore offerta”, ha inoltre confessato:

“Quello di Luv è stato il ruolo più divertente della mia carriera, anche grazie alla presenza di Jared che è un attore che applica il metodo Stanislavski, ed è stato molto affascinante vederlo sul set, perché non è mai uscito dal personaggio. Non lo conoscevo, non avevo mai lavorato con un attore come lui e quando si è presentato la prima volta lo ha fatto in veste di Wallace”.

Villeneuve, poi, a domanda diretta, non si è risparmiato nel raccontare come abbia affrontato l’idea di lavorare con un prodotto così pericoloso.

“Non ho certamente accettato a cuor leggero l’incarico. L’ho fatto sapendo innanzitutto di avere una situazione di controllo totale sull’opera. Il mio Blade Runner è un film completamente diverso rispetto al primo capitolo e so benissimo che facendo un sequel di un capolavoro ci sono pochissime possibilità di avere successo e venire accolto bene. Ho accettato di farlo lo stesso per amore verso il cinema, per passione. Fare una scelta del genere per un regista è un’esperienza straordinaria. Il cinema è arte e non c’è arte senza rischio. Con arroganza credo di poter dire che è il miglior film che io abbia mai fatto”.

 

Previous articleL’interior design guarda al passato: il ritorno della carta da parati
Next article“La piccola libreria dei cuori solitari”: il lieto fine può esistere anche fuori dai libri?
Federica Rizzo
Campana doc, si laurea in scienze delle comunicazioni all'Università degli studi di Salerno. Internauta curiosa e disperata, appassionata di cinema e serie tv, pallavolista in pensione, si augura sempre di fare con passione ciò che ama e di amare fortemente ciò che fa.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here