La giornata di Claudio Amendola al Giffoni Film Festival è iniziata con una standing ovation tributatagli da ragazzi, freschi di proiezione di “Il Permesso – 48 ore fuori”, sua seconda prova dietro la macchina da presa ma esordio nel doppio ruolo di attore a regista.

“Me l’avevano detto che nessun altro festival dà le emozioni del Giffoni, ma dal vivo è davvero incredibile. Se questo è l’inizio avevano proprio ragione” esordisce l’attore quasi intimidito dall’accoglienza dei ragazzi.

Durante la masterclass Amendola ha ripercorso la sua carriera da attore, doppiatore e regista, iniziata per fare un favore alla madre, Rita Savagnone.

Ho smesso di studiare presto, ma ai miei tempi non avevamo la paura di non trovare lavoro come voi. Feci un provino per caso e quasi a mia insaputa mi sono ritrovato attore”.

Dopo i film di Vanzina negli anni ’80 è arrivata la svolta. “Ero destinato a una soddisfacente carriera cinepanettoniana quando arrivò la telefonata del produttore Claudio Bonivento, anche lui fino ad allora alle prese con commedie neanche troppo sofisticate”.

A completare il trio Marco Risi: insieme realizzarono a stretto giro di posta “Soldati – 365 giorni all’alba” (1987) e “Mery per sempre” (1989).

“Se il primo mi ha fatto annusare il mestiere, Mery per sempre mi ha fatto decidere di fare l’attore. Insieme a Ultrà di Ricky Tognazzi, i film di Risi mi hanno aperto un altro cinema”.

Ha lavorato con grandi nomi, da Scola a Mazzacurati, passando per Wilma Labate, regista del film di cui è più soddisfatto in assoluto nella sua carriera, Domenica (2001). Adesso è la sua carriera a guardare dietro la macchina da presa.

Avevo voglia di dirigere perché volevo mettere in pratica tutto quello che ho rubato sui set per tanti anni, stando a occhi aperti e bocca chiusa. E anche per soddisfare il mio egocentrismo: essere circondati da 80 persone che vogliono risposte da te è una figata”.

Il suo ruolo in “Suburra” di Stefano Sollima ha lasciato il segno, come testimoniano le molte domande dei ragazzi.

Claudio Amendola con Pierfrancesco Favino in una scena del film “Suburra”. (2015)

“È stato un ruolo delicato ma il personaggio è riuscito. Ecco perché non l’ho fatto nella serie [che arriverà su Netflix il 6 ottobre, ndr]”.

E la sala applaude, anche quando confessa di avere avuto un peso nell’interruzione de I Cesaroni. “Quella serie non aveva davvero più nulla da dire”.

Non smetterà neppure di parlare delle carceri, Amendola, protagoniste anche de “Il Permesso”.

“A 19 anni ho fatto una sciocchezza e ho passato una notte a Regina Coeli. Mi è bastata per capire un’enormità di cose: la prima è che non ci sarei voluto tornare mai più, perché la libertà è sacra ed esserne privato è la cosa peggiore che possa accadere a una persona. Ma ho imparato anche che in nessun altro posto c’è così tanta solidarietà: l’affetto e la comprensione che ho avuto dai miei compagni di cella non l’ho avuta mai più in vita mia. Le condizioni delle carceri italiane è da quinto mondo, ma noi ce ne dimentichiamo troppo facilmente”.

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