“Cabros de mierda”: le tre Gladys e un missionario nordamericano

La repressione di Pinochet contro gli oppositori in Cile, il dramma dei "missing", un amore proibito

Un film di Gonzalo Justiniano. Con Nathalia Aragonese, Daniel Contesse,  Elías Collado, Corina Posada de Gregorio, Luis Dubbó. Drammatico, 118’. Cile, 2017

La Victoria, 1983. Gladys, 32 anni, conosciuta come “la francese”, è una giovane donna cilena, bella e attraente, che vive alla giornata in una baraccopoli di Santiago nel Cile di Pinochet. Gladys vive con sua madre e una figlia piccola, entrambe chiamate Gladys. Le tre Gladys ospitano un giovane e innocente missionario nordamericano chiamato Samuel Thompson giunto nel Terzo Mondo per predicare la parola di Dio e il valore del progresso. Con la sua videocamera, Samuel riprende le persone mentre lottano per riuscire a sbarcare il lunario tra cucine comuni, bambini senza genitori e le prime proteste di massa.

 

Il Cile moderno è inevitabilmente figlio del Cile di Pinochet, del regime militare che dal golpe del settembre 1973 ha governato il Paese fino al marzo 1990, mettendo in atto una feroce repressione contro ogni forma di opposizione

Sono migliaia i casi ancora aperti di “missing”, persone scomparse che i parenti non si rassegnano a smettere di cercare – o a far dimenticare; diverse le pellicole che hanno affrontato il tema con un registro più o meno brutale.

Perché è comunque opportuno vedere “Cabros de mierda” di Gonzalo Justiniano, ambientato durante la dittatura militare del generale, e presentato alla Festa del cinema di Roma nella Selezione ufficiale?

Al di là di non far dimenticare cosa significhi perdere ogni diritto e libertà e vivere con il timore costante che una semplice delazione, vera o falsa che sia, ti annienti, il film porta indietro nel tempo con un escamotage drammaturgico insolito quanto efficace, la figura del missionario (Contesse).

Giovane e innocente nordamericano, Samuel Thompson ha scelto di trasferirsi in Cile per diffondere la parola di Dio, senza però essere pienamente consapevole di ciò che lo aspetta in Sud America. I suoi occhi, che mediano per noi la realtà, sono quelli di una sorta di Alice, nel Paese degli orrori, però.

“Cabros de mierda” ricorda, per certi versi e con toni più intimistici, “Uccelli di rovo”, con il suo concentrarsi anche sui turbamenti che Samuel inizia a provare quando conosce Glayds (Aragones), turbamenti che lo spingono a mettere in discussione persino la sua vocazione.

La prima parte del film è godibile e appassionante, merito anche della scelta azzeccata di non fermarsi alla descrizione della relazione clandestina tra i due protagonisti, ma di allargare il campo di osservazione ad altri personaggi.

La seconda parte, invece, è più didascalica, quasi una docufiction, con i personaggi costretti a lasciare la loro oasi felice per fare i conti con la tremenda realtà. Una scelta narrativa che risulta sì vincente sul piano emotivo ma che finisce per snaturare il film, che perde ritmo e mordente.

Il cast è solido, esperto, talentuoso, capace di dare a ogni personaggio un chiaro profilo umano e psicologico.

“Cabros de mierda” è soprattutto un film di memoria e di monito, come ci ricorda il bellissimo finale, che utilizza solo foto d’epoca.

 

Il biglietto da acquistare per “Cabros de mierda” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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