Biennale di Venezia | Intervista a Daniele Parisi e Silvia D’Amico

I festival del cinema come la Biennale di Venezia sono l’occasione giusta, non solo per farsi travolgere dall’atmosfera glamour e fare scorpacciate di pellicole in prima visione, ma anche per incontrare e magari scambiare due battute in maniera rilassata con attori, registi e addetti ai lavori, per conoscerli meglio.

Oggi abbiamo potuto fare quattro chiacchiere con i protagonisti di “Orecchie” di Alessandro Aronadio (qui la recensione), Daniele Parisi e Silvia D’Amico.

L'attore Daniele Parisi in una scena di "Orecchie" di Aronadio.
L’attore Daniele Parisi in una scena di “Orecchie” di Aronadio.

Il primo a sottoporsi al fuoco di fila delle nostre domande è stato Daniele Parisi, che ringraziamo per la disponibilità.

Ti sei formato alla Accademia d’arte drammatico Silvio D’amico e “Orecchie” è la tua prima esperienza cinematografica. Come ti sei preparato per il ruolo? E com’è stato l’approccio con la telecamera?

È chiaro che le modalità espressive sono diverse: il teatro si avvale del segno, nel cinema c’è invece bisogno di aderire alla realtà in maniere inequivocabile. Tutto è più piccolo, tutto viene ridimensionato. L’adesione al testo deve essere totale. Mi sono divertito molto a recitare davanti alla telecamera, ma il cambio di registro è stato molto forte.

Gli altri interpreti (Silvia D’Amico, Pamela Villoresi, Rocco Papaleo) hanno anch’essi una formazione teatrale. Questo background comune ha reso più semplice l’interazione sul set?

In teatro si lavora molto su azione e reazione, come anche nel cinema, quindi si è stato stimolante avere colleghi di esperienza e talentuosi. Con Silvia avevo già lavorato in passato, ed è stato bello ritrovarla sul set.

Il tuo personaggio è un uomo che vive di razionalità ma allo stesso tempo un uomo infelice. Vedendo la sua storia, la serie dei suoi incontri ho pensato a “Una giornata particolare “ e “Un giorno di ordinaria follia”. Ti sei ispirato a un film o a un personaggio in particolare, per costruirlo?

Molti attori e registi hanno affrontato il tema, pensiamo a Woddy Allen, ma personalmente mi sento di menzionare anche Francesco Nuti, che considero il più grande di tutti. Nei suoi film ha sempre inseguito questa forma di “essenzialità” che io e il resto cast abbiamo cercato di portare dentro questa storia.

Per concludere, una delle coprotagoniste del film è sicuramente Roma, una città in bianco e nero, senza tempo, all’interno della quale il protagonista incontra questi “novelli mostri”. Quanto è lontana la metropoli dell’idea di casa del protagonista? Quanto la sente estranea a sé?

Non voglio dire molto della trama, ma c’è un passaggio in cui il mio personaggio dialoga con la città. Roma è un ottimo sfondo per il film, essendo una metropoli si presta a questa follia. È una città immensa e contribuisce a raccontare la dispersione sociale e mentale del protagonista.

Grazie a Daniele Parisi e in bocca al lupo per tutto.

Grazie a voi, ma si dice W il lupo, mi raccomando.

L'attrice Silvia D'Amico.
L’attrice Silvia D’Amico.

Diamo il benvenuto su Parola a Colori a Silvia D’Amico, coprotagonista del film “Orecchie”.

Come Daniele ti sei formata all’Accademia teatrale Silvio D’amico, ma poi hai lavorato nel cinema – nella commedia “Fin qui tutti bene” di Roan Johnson, in “Non essere cattivo” di Calligari, adesso in “Orecchie” – e l’otto settembre esordirai in tv nella fiction “Squadra Antimafia”. Una carriera multiforme, possiamo dire. Ma qual è il tuo primo amore professionale?

Senza dubbio il primo amore è il teatro. Da quando ero piccola sognavo di fare l’attrice di teatro e di poter partire per le tournee. L’incontro con il cinema è stato inaspettato; non appena uscita dall’Accademia sono stata scelta da Giuseppe Piccioni per recitare nel film “Il rosso e il blu”. È stato amore a prima vita. Ancora oggi mi emoziono nel ricordare quell’esperienza davvero magica, e mi ritengono davvero fortunata di essere guidata in un mondo che non conoscevo da un maestro come Piccioni. Penso che un attore deve essere comunque completo, sapersi destreggiarsi in qualsiasi ruolo e tipologia di recitazione. Sicuramente la recitazione teatrale dà grandi soddisfazioni, soprattutto dal punto di vista fisico, perché è corporea, totale. Lo è in maniera differente anche quella cinematografica, che però ha un diverso impatto sul pubblico. Nella formazione dell’attore dovrebbero essere tenuti presenti tutti questi aspetti, anche quello dell’improvvisazione e della paura di andare in scena. Oggi non è facile, ahime, fare solo teatro, ma fortunatamente viviamo in un’epoca di forte contaminazione tra i generi dove è possibile spaziare dal teatro al cinema alla tv e viceversa.

Hai ricordato l’esordio al cinema con Piccioni, in un ruolo delicato e toccante. Ma com’è Silvia D’Amico fuori dal set? Riesci a essere spensierata e sorridente e poi calarti in personaggi complessi?

Fortunatamente nella vita privata sono una persona solare, positiva. Per gli amici e la famiglia sono un punto fermo a cui aggrapparsi quando sono in difficoltà. Affronto la vita con il sorriso e non mi faccio mai scoraggiare. Mi piace la vita. Poi penso che per un attore sia bello anche esplorare parti di se che sono nascoste. Per me la recitazione è una grande opportunità. Probabilmente tutto il dolore, il senso di inadeguatezza che talvolta mostro nei film sono dentro di me; li tiro fuori quando mi viene chiesto per lavoro, ma nella vita di tutti i giorni sono l’opposto.

Nel film “Orecchie” la fidanzata del protagonista, Alice, non sorride mai. Silvia D’Amico che consiglio si sentirebbe di dare per rendere felice il proprio partner?

Il mio fidanzato, pur non essendo un attore, mi fa ridere molto con delle imitazioni. Quando le fa rido davvero come una pazza. Credo che in un uomo l’ironia e in parte anche il cinismo siano caratteristiche fondamentali. Se un uomo possiede il dono dell’ironia e la sa far uscire nei momenti opportuni ha già in parte conquistato una donna.

A breve ti vedremo in tv nella serie di successo “Squadra Antimafia” su Canale5. Puoi anticiparci qualcosa del tuo personaggio? Come si inserisce nella storia, già piuttosto complessa?

Come ho detto, mi capita molto spesso di interpretare la parte della ragazza tormentata. In questo caso, una ragazza catanese proveniente da una famiglia mafiosa che entra a far parte della Duomo mettendo così in discussione se stessa e il suo ruolo.

Grazie a Silvia D’Amico per essere stata con noi.





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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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