Intervista ad Andrea Mameli: “Vi racconto come vivo la scienza”

di Berenike

 

cip 1Andrea Mameli, laureato in Fisica all’università di Cagliari, è un giornalista free-lance, esperto di comunicazione scientifica.

Nell’intervista ci racconta un modo di vivere la scienza ad ampio raggio, basato sulla divulgazione attraverso il suo blog, Linguaggio macchina. Perché l’informazione on-line può affiancare quella su quotidiani e riviste per raggiungere un pubblico sempre più ampio.

 

Come nasce la passione per la scrittura e l’idea del blog?
Ho capito che mi piaceva scrivere a 15/16 anni, dopo aver letto molto e aver anche provato l’emozione di pubblicare qualcosa di mio. Ma la conferma definitiva l’ho avuta nel 1994, quando un articolo che invia al quotidiano di Cagliari, L’Unione Sarda, venne pubblicato nella pagina della cultura. Da allora ho scritto per periodici e quotidiani e nel 1997, dopo aver avuto a che fare con il web per lavoro (ho fatto l’Html-lista a Video On Line e ho insegnato Html in corsi di formazione e all’Università di Cagliari) ho avuto l’idea di aprire un blog. Avevo appena finito di frequentare il Master in Comunicazione della scienza (alla Sissa di Trieste) e la tematica non poteva essere che quella: Scienza e Tecnologia. Il blog l’ho alimentato prima sporadicamente, ma da alcuni anni pubblico grossomodo un post al giorno. Per la cronaca, pochi giorni fa ho raggiunto il mezzo milione di visualizzazioni (oggi siamo a 505.146), per 2178 post pubblicati fino a ieri. E nelle classifica e-Buzzing dei blog di scienza, in lingua italiana, il blog è ventesimo (negli ultimi tre anni stabilmente nei primi cinquanta).

Il nome del blog, “Linguaggio macchina”, è molto evocativo. A cosa ti sei ispirato?
Due cose mi affascinano in modo particolare: i nomi delle cose e la storia della scienza (e della tecnologia). Mi piace il nome “Linguaggio Macchina”, attribuito al linguaggio in cui sono scritti i programmi eseguibili per computer, una sorta di esperanto al livello più vicino al calcolatore. Quindi più lontano dall’umano, rispetto a ogni altra forma di comunicazione. Questo nome racchiude quel sogno universale del dar vita a qualcosa di artificiale. E del dialogare con le cose: è quel grido strozzato in gola («Perché non parli!?») che a mio avviso è tanto dell’artista quanto di chi, con la tecnologia, forgia oggetti che fanno qualcosa.

Quali sono i tuoi obiettivi?
Non ho nessuna pretesa di fornire informazioni scientifiche e tecnologiche complete su un ampio orizzonte dello scibile umano. Quello a cui aspiro, invece, è di appagare le mie curiosità, raccogliendo notizie e cercando di raccontarle con parole mie e usando, laddove possibile, immagini mie. Il mio concetto di blog ha a che fare con la visione originaria: quella del diario da condividere. Diciamo che la linea editoriale coincide con la mia curiosità. Non a caso i post del blog si intrecciano bene, secondo me, con i social media: c’è un rilancio reciproco tra Linguaggio macchina e il profilo twitter @linguaggiomacc e a volte anche il mio profilo Facebook.

Quali sono le difficoltà nella gestione di uno spazio online che “parla di scienza”?
La prima difficoltà, che però è anche una consistente opportunità, è che non ci sono vincoli. Non ho un editore o un direttore che mi chiedono di affrontare un argomento preciso: sono io che decido, per svariati motivi, di trattarlo. La seconda difficoltà, ma anche questa la vedo contemporaneamente come una forma di libertà, è che non sono pagato per farlo. La terza è che “Linguaggio Macchina” non appartiene alla categoria dei blog specialistici: tratto scienza e tecnologia ma senza avere un settore specifico di riferimento. Poi ci sono dei dati inoppugnabili. Prendiamo la classifica dei post più letti (o quantomeno più visti, dato che cliccare per aprire non è necessariamente sinonimo di leggere): al primo posto troviamo “Costruire un motore elettrico con le proprie mani” (dicembre 2007) con 9261 visualizzazioni; al secondo “Il geo-portale che mostra quanto sono diffusi i Nuraghi” (aprile 2014) a quota 3877; al terzo “Tra Einstein e Picasso (Between Einstein and Picasso)” (febbraio 2011) 2845. Il primo rientra nei post del tipo: “Ti spiego come ho fatto una cosa così, se vuoi, puoi imparare e cimentarti”; il secondo racconta invece di una tecnologia applicata al settore dei beni culturali e archeologici. Il terzo è un articolo personale, che spiega la mia visione del rapporto Scienza-Arte attraverso due figure che, del tutto simbolicamente, possiamo identificare come le più grandi espressioni dei due settori. Si tratta di tre argomenti lontanissimi tra loro e affrontati in modo completamente differente. La difficoltà di un blog come questo è riuscire a tenere insieme mondi così distanti.

Varietà allo stato puro, insomma. Ma c’è un tema che prediligi? E, non avendo una linea editoriale ben definita, dove trovi gli spunti per i tuoi post?
Non ho un argomento prediletto, amo tutto quello che stimola riflessioni razionali e suscita, contemporaneamente, emozioni. Le mie fonti sono i comunicati stampa dei grandi centri di ricerca e delle università, i meta blog come Phys.org e le segnalazioni dirette. Oltre, ovviamente, a quel che mi passano i social network, Twittter in primis.

Cos’è per te l’innovazione?
Non è altro che la necessità di mettere a frutto le nostre conoscenze, intrecciandole con l’intuizione fortunata e con l’esigenza di risolvere problemi. Il tutto con una buona dose di coraggio e la capacità di alzarsi dalla sedia e rimboccarsi le maniche. Scusate se è poco.

Hai qualche progetto per il futuro del tuo blog?
Due cose. Primo (e più difficile): creare un filone di divulgazione divertente – con racconti, fumetti, video -, utile a spiegare concetti difficili scherzandoci su. Secondo: dedicare più attenzione alle bufale, perché una delle soddisfazioni più grandi è scoprire quelli che chiameremo “gravi errori comunicativi” e segnalarli. Per il puro desiderio di avvisare gli altri, come quando in strada incontri un pericolo e cerchi di avvertire chi ti segue. E di farlo – perché no? – con la giusta dose di cattiveria, perché chi si prende gioco della testa degli altri merita di essere scoperto e messo alla berlina, nel pieno significato del termine: esporre il lestofante alla folla con un bel cartello recante la descrizione del misfatto.


 

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