di Francesca

 

La storia ci ha tramandato il fervore di una rivoluzione sfociata nel sangue, ci ha narrato il malcontento popolare, il rovesciamento del potere, le aspirazioni e la dura realtà di un Paese sull’orlo del baratro: la Russia.

Ci ha riportato, attraverso migliaia di pagine e testimonianze che si basano sui fatti, i problemi economici e politici di una nazione grandissima e non facilmente governabile, questioni che, non trovando una decisiva risoluzione, sono diventate le cause del tramonto di una dinastia, i Romanov, e di un’intera epoca.

Lo zar, ormai simbolo di un dominio indifferente alle necessità del popolo e incapace di far fronte ai mutamenti sullo scacchiere geopolitico tra Ottocento e Novecento, doveva essere distrutto. E così fu.

C’è, però, un’altra storia, una vicenda più oscura, che ha fatto versare altrettanti fiumi d’inchiostro, un mistero forse risolto grazie alle moderne tecnologie, ma che ancora affascina chiunque si accosti alle fonti sulla terribile fine dei Romanov: la presunta morte della granduchessa Anastasia.

Sulla sorte di Anastasija Nicolaevna Romanova, quarta figlia di Nicola II e Alessandra Fedorovna, i pareri sono sempre stati discordanti. La storia ufficiale registra il suo assassinio – insieme al padre, alla madre e ai fratelli Alekseij, Tatiana, Maria e Olga – a Ekaterinburg, il 17 luglio 1918, per ordine dei bolscevichi. Molte teorie “ufficiose”, però, hanno insistito sulla possibile sopravvivenza di Anastasia, supportate per lungo tempo dal mancato ritrovamento dei resti della sfortunata granduchessa.

L’incertezza ha alimentato speranze e illusioni, portando alla creazione di libri e film (indimenticabile, tra questi ultimi, la pellicola del 1956 vincitrice di un Oscar, “Anastasia”, diretta da Anatole Litvak, con Ingrid Bergman e Yul Brynner), più o meno accurati nella ricostruzione storica e piuttosto fantasiosi nel descrivere l’epilogo dei Romanov e l’esistenza di Anastasia dopo il 17 luglio.

Un’immagine del cartone “Anastasia” del 1997.

Le voci insistenti sulla salvezza della giovane, in parte frutto dell’incapacità di accettare un evento tanto terribile e che aveva spezzato brevi e innocenti esistenze, ha aperto la strada anche a donne dal passato misterioso, mosse da intenti diversi ma tutte con un unico punto in comune: asserire di essere Anastasia.

Anna Anderson è stata la più famosa. La sua somiglianza con la piccola Romanov e la conoscenza di numerosi dettagli inerenti la vita di corte stupirono non poco l’opinione pubblica e la nobiltà russa scampata alla rivoluzione. Gli esami del DNA effettuati sulle sue ceneri nel 1994, però, hanno stabilito senza ombra di dubbio che non era lei la granduchessa. Stessa sorte per le altre presunte Anastasia: Eugenia Smith, Magdalen Veres e Ivanova Vasileva.

Nel 1991 il “caso” è stato riaperto: grazie a degli scavi è stato possibile ritrovare e identificare tutti i corpi tranne due, quello di Alekseij e quello di Maria. Le due salme sono state poi rinvenute nell’agosto del 2007, sugli Urali. I test effettuati l’anno successivo hanno confermato con assoluta certezza che si trattava dello zarevic e di sua sorella.

Nel 1981, i Romanov sono stati dichiarati martiri e nel 2000 canonizzati. La Chiesa Ortodossa non si è convinta subito del risultato dei test sugli ultimi due corpi rinvenuti, nonostante i pareri degli scienziati, e c’è ancora chi, al di fuori del clero, fatica a mettere la parola fine alla storia dell’eccidio della famiglia imperiale.

Oggi lo zar, sua moglie e i suoi figli riposano nella Fortezza di San Pietro e Paolo a San Pietroburgo, finalmente riuniti.

Non c’è più nessuna Anna Anderson a reclamare un’identità sepolta da decenni, eppure nel Novecento la flebile speranza che Anastasia fosse ancora in vita può aver rappresentato, almeno in parte, un modo per esorcizzare l’atrocità di quella morte, una sorta di senso di colpa postumo per non aver evitato la tragedia. Purtroppo la speculazione ha giocato per anni su queste debolezze e sulla fantasia di una pietà che non ci fu. Ora è giunto il momento di lasciar riposare in pace gli ultimi Romanov.

 

Previous article“Snob”: con Julian Fellowes nel bel mondo dell’alta società inglese
Next articleLibri della settimana: i più letti dal 2 all’8 giugno
Contributi esterni
Contributi inviati da persone esterne alla nostra redazione. Guest post, interviste, recensioni e molto altro.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here