“Lo chiamavano Jeeg Robot”: un supereroe nostrano contro i cattivi

Claudio Santamaria, Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli in un film evocativo, tra commedia e noir

Un film di Gabriele Mainetti. Con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Stefano Ambrogi, Ilenia Pastorelli, Maurizio Tesei. Fantascienza, 112′. Italia, 2015

Enzo Ceccotti non è nessuno, vive a Tor Bella Monaca e sbarca il lunario con piccoli furti. Un giorno, mentre scappa dalla polizia, si tuffa nel Tevere per nascondersi e cade per errore in un barile di materiale radioattivo. Ne esce barcollante, mezzo morto e dotato di forza e resistenza sovrumane. Mentre Enzo scopre cosa gli è successo e cerca di usare i poteri per fare soldi, a Roma c’è una vera lotta per il comando, alcuni clan provenienti da fuori stanno terrorizzando la città con attentati e un piccolo pesce intenzionato a farsi strada minaccia la vicina di casa di Enzo, figlia di un suo amico morto da poco. La ragazza si aggrappa a lui ed è così fissata con la serie animata Jeeg Robot da pensare che esista davvero. Tutto sta per esplodere, tutti hanno bisogno di un eroe.

 

I film di supereroi sono quasi sempre ambientati negli Stati Uniti, come vuole mamma Marvel. I cartoni animati, invece, sono una cosa tutta giapponese (parliamo di manga e anime adattati per la tv). Fino a oggi queste erano due basi solide, in campo cinematografico.

Fino a oggi, dico, perché poi Gabriele Mainetti, con coraggio e ironia, ha deciso di mischiare le carte in tavola e presentarci la sua personale idea di storia di supereroe, ambientandola a Roma, più precisamente nel quartiere Tor Bellamonaca.

Lo spettatore è preparato fin da subito a vedere un film particolare (il titolo, “Lo chiamavano Jeeg robot”, in questo gioca un ruolo non da poco), ma ciò che non si aspetta è di calarsi in una storia a metà strada tra la commedia e il noir, una storia che finisce per diventare una favola moderna.

Un film originale, coraggioso, divertente, che si appoggia a una sceneggiatura essenziale ma efficace. Gli autori non puntano a costruire un intreccio sofisticato, semmai dimostrano che talvolta è la semplicità l’arma vincente.

La storia, ben strutturata, scorre fluida dall’inizio alla fine ed è capace di regalare perfetti tempi comici e, insieme, attraverso le scene d’azione, di evocare i film polizieschi italiani degli anni ’70.

I dialoghi sono freschi e costruiti con maestria. I personaggi e i loro caratteri sono ben delineati, risultando così credibili e godibili per il pubblico.

La regia di Gabriele Mainetti è asciutta, senza fronzoli e di taglio televisivo, eppure nel suo essere per certi versi elementare colpisce e riesce a trascinarti nel suo mondo e farti vivere quest’avventura con il sorriso.

Regia e sceneggiatura a parte, “Lo chiamavano Jeeg robot” deve molta della sua forza a un cast azzeccato e di grande talento. Claudio Santamaria si cala perfettamente nel ruolo dell’eroe per caso di stampo romano, ombroso e in parte pasticcione. Riesce a dare al suo personaggio un’umanità autentica, emozionando lo spettatore.

Dopo la bella prestazione in “Non essere cattivo”, questo ruolo è per Luca Marinelli una splendida conferma. Il suo cattivo piace per gli eccessi, per la capacità di strafare senza però mai apparire fuori luogo. Vedendolo in scena non si può non pensare al Joker, antagonista di molti film di Batman, e Fabio non sfigura nel confronto con grandi interpreti del passato più o meno recente.

Menzione speciale per l’esordiente Ilenia Pastorelli, qualche anno fa concorrente del Grande Fratello e oggi rivelazione del cinema italiano. Nel ruolo della svampita appassionata di cartoni giapponesi è davvero perfetta. Riesce con grande bravura a coniugare comicità, fragilità e dramma, senza mai calare quanto a intensità espressiva. Da tenere d’occhio per il futuro.

Volendo trovare una morale, se il mondo avrà sempre bisogno di eroi, Roma ne ha bisogno ora più che mai. E uscendo di sala lo spettatore si sente tranquillo, perché sa di poter contare su Enzo come paladino della giustizia.

 

Il biglietto da acquistare per “Lo chiamavano Jeeg Robot” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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