Al cinema: Blackhat

BlackhatUn film di Michael Mann. Con Chris Hemsworth, Viola Davis, Wei Tang, Leehom Wang. Azione, 135′. 2015

 

Il futuro preme, avanza, e stravolge le nostre abitudini portando con sé parole affascinanti e nello stesso paurose: tecnologia e modernità.

Un tempo i nemici, i ladri, gli imbroglioni potevi vederli, toccarli e quindi affrontarli e, almeno al cinema e nei libri, sconfiggerli. Oggi, invece, grazie anche ai computer, si può fare del male, speculare e addirittura provocare disastri ambientali stando comodamente seduti nel proprio salotto.

Se già è difficile combattere il terrorismo, come dimostrano anni di guerre e di morti, il cyber terrorismo è probabilmente una piaga ancora più pericolosa, perché nel mare magnum rappresentato dalla rete “i cattivi” sono invisibili, e per questo ancora più difficili da individuare e contrastare.

Chi sono davvero gli hacker? Si discute molto su questi personaggi che seguono ideali e stili di vita tutti loro, e che spesso si contrappongono alla politica, alle multinazionali, ai grandi soggetti, considerati la vera causa dei mali del mondo.

Ogni giorno sul web si combattono “guerre” invisibili tra gli hacker e i reparti telematici della polizia dei diversi paesi, per evitare speculazioni finanziare e pericolose ingerenze nei segreti di Stato.

Blackhat” ha l’ambizione di raccontare proprio uno di questi conflitti, aperto da un disastro nucleare avvenuto in un centrale in Cina a cui segue un attacco speculativo in Borsa sul mercato della soia. Due eventi diversi eppure ideati e studiati dalla stessa mente criminale che si serve della tecnologia, di codici e linguaggi informatici per arricchirsi.

Questo individuo rappresenta una sfida e un pericolo sia per la Cina che gli Stati Uniti. Per questo i due paesi, malgrado le rispettive diffidenze, si ritrovano a unire le forze e a far collaborare i servizi di intelligence per fermare il pericolo.

Quando Chen Dawai (Wang), tenente ed esperto informatico cinese, viene incaricato dai superiori di scoprire il responsabile del disastro nucleare e di farlo collaborando con gli americani, non esita a costruire un team informatico di alto livello, formato dalla sorella Chen Lien (Tang) e soprattutto da Nicholas Hathaway (Hemsworth). Ex compagno di università di Chen Dawai, attualmente in carcere per essere responsabile di truffe bancarie milionarie, Nicholas è anche l’ideatore del virus utilizzato dal pericoloso hacker. Per questo viene rimesso momentaneamente in libertà per aiutare il team a fermare il criminale.

Inizia così la caccia al misterioso hacker in giro per il mondo, tra depistaggi informatici e inseguimenti reali, sparatorie e morti. Una spy story che, a dire il vero, strizza l’occhio contemporaneamente ai generi action movie e thriller, sforzandosi di usare un linguaggio credibile e realistico anche in campo informatico.

Un progetto ambizioso e originale che però, nello sviluppo, perde di slancio, mordente e incisività. Pur avendo una partenza lanciata e adrenalinica, lo spettatore ha subito la sensazione di trovarsi davanti a una pellicola poco coinvolgente, anche per evidenti limiti nella struttura narrativa. I passaggi dalla fase statica, davanti ai computer, a quella operativa con gli inseguimenti e tutto il resto appaiono frettolosi e poco chiari, finendo per creare più confusione nello spettatore che suspense.

Una sceneggiatura che vuole raccontarci come oggi anche i nostri nemici siano cambiati, come non serva più agire in prima persona per creare panico e incidere sulla realtà, ma basti un click. Eppure il testo non convince, e alla lunga risulta lento e prevedibile.

La regia di Mann è sicuramente di livello, creativa, attenta ai vari passaggi, però risulta anche compassata. Solo raramente riesce a far cambiare marcia al film, a fargli compiere il salto di qualità decisivo.

Sono degni di menzione un’accattivante e suggestiva fotografia e una orecchiabile colonna sonora. Il cast, invece, nonostante i nomi di prestigio non incanta, dando vita, nel complesso, a performance anonime e tutto sommato piatte.

“Blackhat” poteva essere un film diverso e di rottura, ma anche per via del suo finale allo stesso tempo aperto e forzatamente a lieto fine lascia nello spettatore un senso di delusione e di incompiutezza. Si esce dalla sala con la sensazione che la pellicola, per quanto le buone intenzioni, non abbia reso giustizia a una realtà che è, di fatto, persino peggiore di quella vista sul grande schermo.

 

Il biglietto d’acquistare per “Blackhat” è: 1)Neanche regalato 2)Omaggio 3)Di pomeriggio 4)Ridotto 5)Sempre


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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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